Mauro Martini è professore di Lingua e Letteratura Russa all’Università di Trento. La lezione fa parte di un ciclo, prima manifestazione di un progetto che prevede l’istituzione a Ravenna di un Corso di Laurea sulle Civiltà dell’Europa orientale e del Mediterraneo.

Oggi esiste un’Europa Orientale? Fino al 1989 non ci sarebbero stati molti dubbi nel rispondere a un simile interrogativo. Il secondo dopoguerra, dal 1945 al 1989, imponeva l’esistenza di un’Europa divisa in due: da una parte l’Europa occidentale, dall’altra quella orientale. E questo grazie a un’operazione abbastanza astuta da parte dell’Urss che, sul finire degli anni ’40, era riuscita a rovesciare a proprio vantaggio un concetto, quello di Europa orientale, che non aveva affatto una vita lunghissima essendo nato negli anni ’20 da tutt’altra esigenza. Erano stati, infatti, gli storici polacchi i primi a parlare di Europa orientale in funzione di un’ideologia grande-polacca, che vedeva nella Polonia il limite estremo dell’Europa, il famoso ante-murale contro l’Urss. Un’eredità lasciata dalla guerra russo-polacca del 1920, in cui i polacchi erano riusciti a fermare l’avanzata della Armata rossa nella famosa battaglia del "miracolo della Vistola" (15 agosto).
Insomma, la Polonia si era assunta il ruolo di propaggine estrema di un’Europa cristiana, soprattutto cattolica, per impedire la penetrazione da oriente del pericolo "giallo", un pericolo molto temuto secondo un mito diffusosi negli anni a cavallo tra ’800 e ’900. Ecco allora che nel secondo dopoguerra un concetto che serviva a stabilire dove finiva l’Europa viene invece rovesciato dall’Urss per affermare l’esistenza di un’Europa orientale, in cui è l’Oriente a dilagare verso il centro dell’Europa; un’Europa nettamente staccata dall’altra e che avrà il suo punto di riferimento saldo, immutabile nell’Urss, e in modo particolare nella Russia e nel suo spirito nazionale riabilitato con la seconda guerra mondiale. La Russia è la componente portante dell’Urss; è la Russia che si proietta verso occidente e impone la sua Europa orientale.

L’accettazione dell’esistenza di un’Europa orientale era ormai diventata di uso comune. Tutti ne parlavano normalmente, riferendosi a paesi che geograficamente, invece, appartenevano senz’ombra di dubbio al centro Europa. Su questo argomento, nella prima metà degli anni ’80, Milan Kundera scrisse due saggi che fecero scalpore, perché polemizzavano aspramente contro un’Europa che, accettando che una vasta area venisse definita semplicemente come "Europa orientale", aveva svenduto la propria esistenza all’Unione Sovietica, aveva rinunciato a una parte di sé, aveva rinnegato il proprio spirito. Kundera chiamava l’Europa dei paesi del centro, la Cecoslovacchia, la Polonia stessa, l’"Europa sequestrata". Quegli articoli di Kundera suscitarono un dibattito molto forte e dai singoli paesi di quell’Europa presunta orientale si levò la rivendicazione innanzitutto della loro appartenenza all’Europa in sé, senza connotazioni, senza aggettivi e, in secondo luogo, quella di un’appartenenza, semmai, a quella che era stata l’Europa centrale, legata, quindi, alla storia mitteleuropea. I singoli paesi rivendicavano l’appartenenza piena a un insieme continentale, ma come paesi autonomi, indipendenti, dotati di una propria storia e personalità. D’altra parte non c’è dubbio che il concetto stesso di un’Europa orientale sovietizzata, o comunque legata al sistema sovietico, aveva annacquato le molte differenze che invece esistevano in quella vastissima area.
Questa, dunque, era la situazione fino al 1989, l’anno in cui l’Unione Sovietica, che era ancora l’Urss di Gorbaciov, riconobbe a questi paesi la loro indipendenza e sovranità.
Si comincia nell’aprile con la Polonia che, al termine di un mese di trattativa tra opposizioni e regime comunista con Jaruselski in testa, ottiene la promessa, poi mantenuta, di elezioni libere a giugno, e si finisce a novembre con il crollo del muro di Berlino, la Rivoluzione di velluto a Praga, e gli avvenimenti in Romania degli ultimi giorni dell’anno. Quindi l’89 libera quella vasta zona dell’Europa orientale, che pian piano nel linguaggio giornalistico comincia a essere indicata come "Europa centro-orientale". Già si nota una piccola sfumatura: si comincia a reintrodurre un elemento di centralità, di appartenenza a un’Europa del centro.
Quindi a partire dal 1989, e soprattutto alla luce di quello che è successo in questi dieci-undici ...[continua]

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