Mi accade di frequentare un ambiente in cui sono numerosi gli immigrati e in cui sono frequenti i matrimoni misti. Lavoro con un gruppo di persone, assai più giovani di me, con una buona percentuale di stranieri.
Forse per questo sono particolarmente attento ai confini, alla sovrapposizione tra problemi di diritti degli immigrati e problemi di politica estera, tra problemi di mobilità e problemi di giurisdizione, ai problemi di diritto comparato, ai problemi di sovranità.
Non credo che il mio sia un punto di vista deformante. Anzi credo di averlo scelto -nella ridotta misura in cui si scelgono davvero le cose a questo mondo- proprio perché consente di vedere dall’interno uno dei cambiamenti maggiori che si stanno verificando nel mondo e in particolare in Europa: la crisi degli stati nazionali intrecciata alla nascita dei subnazionalismi e ad una notevole crescita dell’immigrazione.
Le dimensioni che costituivano gli stati nazionali -economia, politica, diritto, forza, religione- si sono di fatto disaccoppiate, vanno ognuna per conto suo. Cosa voglia dire democrazia, oggi, ed ancora di più in futuro, è difficile da dire. Non si tratta solo di una cosa che riguarda gli altri: chi lavora in Arabia Saudita senza essere arabo saudita della famiglia dominante o di altre famiglie importanti, per fare la serva, l’operaio, il perito, l’ingegnere, il militare a contratto, l’agente segreto noto o ignoto o chi si trova a vivere in Iraq o in Afghanistan o in Libia, esercitando uno di questi mestieri o uno dei molti altri che non mi sono venuti in mente o che non ho elencato. E’ una cosa che riguarda noi, noi italiani, noi europei, gli americani, l’Occidente e quelli, cittadini o stranieri, che posseggono le banche e le aziende dei nostri paesi, o che lavorano all’estero per aziende dei nostri paesi, o che lavorano da noi e per noi, o che consumano le cose che si producono da noi.
In una parola sola si chiama globalizzazione.
Chi è cittadino, chi ha il diritto di voto per decidere quel che si fa in Italia o in Europa?
Per aggiungere qualche argomento ai molti che si usano affronterò una alla volta alcune delle dimensioni meno analizzate, sperando che gli argomenti facciano sistema e aiutino a ricostruire dei criteri di orientamento che sembrano smarriti, o che, almeno per me, costituiscono un problema.

L’esclusione del lavoro.
Si è parlato di fine del lavoro. In effetti ciò che è avvenuto, oltre alle trasformazioni nei lavori legati al mutamento tecnico, è che le cose che si possono trasportare e non richiedono lavorazioni troppo complesse vengono fatte nei paesi a bassi salari e importate già fatte, le cose tecnologicamente avanzate vengono importate dall’Europa o dagli Stati Uniti, e le cose che non si possono trasportare o i servizi commerciali o alla persona vengono fatte qui da stranieri.
La dislocazione e l’immigrazione hanno portato alla fine di uno dei più importanti eventi sociali dell’ultimo secolo e mezzo: l’inclusione dei lavoratori nella cittadinanza, la trasformazione in cittadini dei contadini e degli operai, l’alfabetizzazione di massa.
Nei paesi di forte immigrazione, come gli Stati Uniti, è stato sempre vero che la provenienza, il colore, la lingua hanno diviso i lavoratori e hanno escluso sempre gli ultimi arrivati.
Il secolo socialdemocratico è durato abbastanza meno di un secolo in Svezia, mezzo secolo in Germania e in Inghilterra, qualche decennio in Italia. Le generazioni diventate adulte nel secondo dopoguerra, con la Costituzione, la ricostruzione, il movimento operaio sono vissute all’interno di quella che potrebbe essere una parentesi che minaccia di chiudersi.
Oggi comperiamo merci prodotte spesso da lavoratori che non votano, né qui né altrove, in condizioni di lavoro rischiose e sgradevoli, senza diritto di sciopero, con retribuzioni molto più basse dei nostri minimi salariali. E soprattutto usiamo il lavoro, nell’industria, nel commercio, nei servizi di persone che risiedono qui, spesso irregolarmente, senza diritti politici, con un difficile accesso al diritto di sciopero.
L’immigrazione in Italia è appena agli inizi, salvo catastrofi, perché si manifesta solo da pochi anni l’effetto della riduzione -del dimezzamento- della fertilità avvenuto tra il 1964 e la fine degli anni ’70. Il rapporto tra cittadini italiani in età di lavoro e popolazione totale ha cominciato a diminuire da vari anni e diminuirà fino a metà secolo. Senza immigrazione la popolazione residen ...[continua]

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