Il progetto di un cimitero monumentale risale alla metà degli anni ’60 del secolo scorso. Vi è, in quegli anni, un ampio dibattito all’interno del consiglio comunale forlivese, con la contrapposizione fra due tendenze. Chi lo vuole un semplice camposanto, il più disadorno possibile; ma in questo caso la semplicità non si sposava con la causa della democrazia e dell’egualitarismo perché i difensori di questa scelta erano i notabili di campagna, i possidenti dei fondi, i grandi proprietari terrieri che tenevano poco a spendere nei lavori pubblici per la città. La loro esigenza era di destinare i fondi dei lavori pubblici ai consorzi stradali suburbani del forese e non tanto di dirottarli a favore della classe operaia o dei manovali o delle piccole corporazioni di artigiani e muratori cittadini.
La linea che prevale, quella di fare il cimitero monumentale, è sponsorizzata dai democratici in maniera piuttosto sostenuta e rappresenta la loro prima grande vittoria, perché si dà a questo progetto non solo una valenza economica -la grande “fabbrica” che rimarrà aperta fino ai primi anni ’90 tenendo occupate decine e decine di operai per molto tempo- ma anche una valenza simbolica “forte” come santuario della morte all’interno della città.
Non c’è dubbio che l’artefice di questo progetto sia Aurelio Saffi. E’ lui che nel 1886 “consacra” il Pantheon e lo inaugura non già come chiesa, come tempio cristiano, ma come tempio laico, deputato a ricevere le ossa degli eroi, tant’è vero che la prima salma è quella di Piero Maroncelli, trasportata per l’occasione da New York dove il forlivese era morto vent’anni prima. Le sue ossa vengono portate per nave in Italia e risalgono la penisola su un treno speciale all’interno di un grande e fastoso culto dell’eroe civico, riecheggiante in larga parte il funerale di Victor Hugo dell’anno prima; cerimonia che era culminata con l’ascensione dei resti dell’eroe al Pantheon di Parigi, anch’esso una chiesa laicizzata.
A livello locale si cerca di riprodurre in piccolo, su scala forlivese, quest’idea di una morte laica, che si nutre sostanzialmente, dal punto di vista ideologico, di un culto della memoria.
Questo spiega la proliferazione dell’epigrafia nell’Ottocento. A Forlì abbiamo in Pio Squadrani uno dei maggiori epigrafisti romagnoli. Cugino di Giovanni Pascoli, proveniente da una tradizione letteraria di non poco conto, si trova adeguatamente epigrafato, nella sua tomba di famiglia, posta nel nostro cimitero, da un epigono. Nel piccolo ritratto di famiglia borghese che emerge dalla lapide degli Squadrani traspare, con maggior vivacità che in altre lapidi, il misto di informazioni sulla vita privata, di dati sulla vita politica, di fatti e luoghi della vita familiare; il tutto coronato da un’aureola di buoni sentimenti che non vanno dimenticati in queste occasioni e che forniscono un quadro esaustivo della prosopografia locale. A lui si rivolgevano per le epigrafi grandi famiglie, circoli democratici, uomini politici; tantissime sono le sue epigrafi che ricordano fatti, uomini, cose. Era direttore delle scuole elementari e non bisogna mai dimenticare questo aspetto educativo perché la lapide, soprattutto quella urbana e suburbana, ha un valore essenzialmente pedagogico: sono i maestri i protagonisti di questo media, non dimentichiamo che la lapide fa da pendant al nome della strada. Si può dire quindi, per chiarire meglio questo concetto, che la revisione della toponomastica alla fine dell’800 e l’istituzione di una tradizione lapidaria urbana rappresentano un progetto pedagogico complessivo che vuole dare alla città dei vivi il senso di muoversi all’interno di una città dei morti ben viva, ben operante che ancora addita alle nuove generazioni compiti o bisogni stessi della città.
Questo culto dei morti è strettamente legato a radici letterarie, in particolare modo ai “Sepolcri” di Foscolo. Lo stesso Saffi nel spiegarne le ragioni si rifà a Mazzini, il quale, a sua volta, aveva parlato nel 1871, dalle colonne della “Roma del popolo”, di culto foscoliano dei morti. Questo articolo Mazzini lo scrive per celebrare la traslazione delle ceneri del Foscolo in Santa Croce, a Firenze, avvenuta lo stesso anno, e vi sostiene una sorta di continuità, non soltanto culturale ed ideologica, ma anche simbolica e materiale nella città tra il momento del trapasso e il ricordo che la persona lasciava presso la comunità.
Tutto questo bisogno di ricostruire una memoria civica non è alt ...[continua]

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