Per celebrare il cinquantesimo anniversario della liberazione dal nazismo e dal fascismo, il Parlamento europeo si era fatto tentare dalla proposta di riunire l’ufficio di presidenza ed i capigruppo a Sachsenhausen, ex-campo di concentramento vicino a Berlino. Bella idea, una celebrazione non dei vincitori militari (con o senza vinti), ma in nome dei liberati -dai campi e da quelle grandi prigioni che erano i fascismi. Tutti insieme, non per stati nazionali. Poi sono stati tirati i guinzagli nazionali... ed alla fine nulla si farà se non una pietosa “giornata delle porte aperte”, in cui chiunque potrà visitare il Parlamento. Peccato che chiunque saranno in concreto solo i belgi... con grande gioia dei partiti belgi, che hanno risolto il problema di come riempire l’8 maggio la loro campagna elettorale nazionale: i giovani verranno cammellati in rue Belliard.

Da qualche mese certi lunedì bruxellesi sono animati da vivacissime manifestazioni davanti alla sede del Consiglio dei ministri europei. Ciò avviene quando si riuniscono i responsabili dei dicasteri dell’agricoltura, per discutere delle norme sul trasporto di animali vivi da macello. Gli animalisti di molti paesi mandano delegazioni per protestare contro le condizioni atroci in cui questi trasporti avvengono. Una dimostrante inglese era stata uccisa a Londra, in analoga occasione, ma gli animalisti non demordono. E si dolgono dell’impressionante divario nord-sud a questo proposito: l’opinione pubblica nei paesi del nord se ne occupa con fervore, nei paesi del sud l’inerzia dei governi trova la sua rispondenza in opinioni pubbliche disinformate o compiacenti. Così la protezione degli animali manda dall’Olanda i suoi ispettori e cine-operatori alla frontiera di Trieste, per sostenere gli animalisti italiani nella loro lotta su un terreno difficile: chi ha assistito una volta alla discesa dei cavalli dai Tir, non potrà dimenticarsene.

Un gruppo di amici della montagna (organizzati nel tradizionale sodalizio trans-nazionale degli “amici della natura”) da anni lotta perché la zona dell’Adamello venga tutelata contro speculazioni e costruzioni insensate. Vorrebbe includerla in un costituendo Parco europeo che dovrebbe comprendere anche lo Stelvio e il Fuorn svizzero dell’Engadina, insieme ai tesori dei Camuni.
I montanari bresciani con automobili e sacchi a pelo sono partiti in una quarantina, a proprie spese, pernottando nei rifugi dei loro amici nella regione di Strasburgo e della Foresta nera, per consegnare al Presidente del Parlamento europeo, il socialdemocratico tedesco Klaus Hänsch, una petizione in tal senso. Ben 6500 persone delle valli hanno firmato, la stessa comunità montana non potrà più far finta di niente. Per essere sentiti meglio, i montanari hanno messo su un’orchestra di amici olandesi sostenitori della loro causa. A Strasburgo hanno incontrato amici insospettati: una delegazione di indiani apaches dell’Arizona, in lotta per la salvaguardia della loro montagna sacra sul Mount Graham, che istituti americani ed europei (Arcetri di Firenze, Max Planck di Monaco, Osservatorio Vaticano) vorrebbero profanare con un mega-telescopio. “Su quel monte dove noi parliamo con la divinità, non devono mettere i loro apparecchi”, dice Ola Cassadore, anziana e saggia capa indiana. I bresciani applaudono, il popolo delle montagne si capisce. Uso creativo dell’Europa.

Le reti transeuropee rischiano di diventare le rughe profonde dell’Europa: ulteriori autostrade, ferrovie ad alta velocità, oleodotti, canali, metanodotti, elettrodotti, aeroporti e piste di atterraggio, strade, strade, strade. Per smaltire un traffico il cui raddoppio entro il 2020 è già messo in conto, e per connettere i consumatori di energia e di informazioni. Per indorare la pillola, si promettono grandi benefici occupazionali, oltre a trasporti e trasmissioni veloci. I 15 Stati dell’Unione europea hanno individuato nelle reti transeuropee la base del rilancio della crescita.
Il Parlamento europeo ha alzato il dito per reclamare maggiore rispetto per l’ambiente, accurati esami di impatto ambientale e sociale, moderazione nei grandi progetti. La Commisione trasporti ha lavorato seriamente, molti e dettagliati miglioramenti vengono richiesti. Poi lo scivolone rivelatore: passando dai principi alle carte, praticamente nessuna autostrada, strada, ferrovia ad alta velocità eccetera, è stata cancellata. Chi osava chiedere la rinuncia alla galleria sotto il Brennero, all’autostrada dei Pirenei, al raddoppio della Firenze-Bologna, a nuove autostrade baltiche o scandinave, è stato additato come nemico dello sviluppo. Piccola consolazione: la proposta di Forza Europa (così si chiamano i berluscones in Europa) di inserire anche il ponte sullo stretto di Messina nelle reti transeuropee, è stata respinta. Per ora, almeno.

Milano, 26 marzo, pomeriggio. I federalisti europei organizzano un pomeriggio per discutere delle riforme da apportare alla costruzione europea in occasione della Conferenza intergovernativa, che nel 1996 dovrà rivedere i trattati di Maastricht e l’intero edificio comunitario. Quale sarà la posizione del governo italiano, come si muovono le forze politiche in proposito?
Nel solenne palazzo comunale c’è grande agitazione, poliziotti e telefoni cellulari si agitano, giornalisti scodinzolano nei paraggi. Si prevede la presenza di Buttiglione, di Prodi e di altre dive del cicaleccio politico italiano. Intanto arrivano -pressoché inavvertiti- i due commissari europei di nomina italiana (Monti e Bonino), il sottosegretario agli esteri Scamarcia. Ospite d’onore il democristiano tedesco Lamers, autore di una proposta assai controversa sul nucleo forte dell’Europa. Poi arrivano le prime chiamate che annunciano l’assenza di Buttiglione, di Prodi, di Salvi. Cessato allarme, i giornalisti vanno a casa. Vorrà dire che si parlerà solo di Europa, non della telenovela dello Scudo crociato. Uffa, che noia.

Il tribunale internazionale per l’ex-Jugoslavia, istituito dall’Onu, siede all’Aja. Per oltre un anno ha lavorato per completare i propri ranghi con investigatori, cancellieri, guardie, celle, sale, regolamenti, procedure, documentazione, armadi, archivi. Enormi le speranze degli attivisti ex-jugoslavi per i diritti dell’uomo, grande la diffidenza delle diplomazie e delle potenze. Sullo sfondo una furba convinzione non espressamente proclamata, ma temuta dai democratici in Bosnia, in Serbia, in Croazia: che l’uso o il non-uso del tribunale dipenderanno, alla fine, dagli accordi politici. Se oltre alla spartizione del territorio si negozierà anche l’impunità dei criminali, i giudici e le guardie dell’Onu potranno essere mandati in cassa integrazione.
Non la pensano così i protagonisti di questo originalissimo organo di giustizia penale internazionale. Il presidente è un italiano, il professore Antonio Cassese, che tiene nella sua stanza alle pareti una serie di fotografie delle atrocità commesse. Mi mostra una lettera che racconta di un bosniaco orribilmente torturato, al quale moglie e figlie sono state prima stuprate e poi uccise davanti agli occhi; l’uomo ha trascinato la sua esistenza fino a quando ha potuto rendere la sua deposizione davanti all’egiziano Cherif Bassouni, incaricato dall’Onu di compiere la prima indagine sui crimini contro l’umanità nella guerra jugoslava. Due settimane dopo si è ucciso, lasciando scritto che ormai l’unico scopo della sua esistenza residua era stato compiuto e che ne era indicibilmente grato.
Molti nell’ex-Jugoslavia guardano oggi al procuratore sudafricano Richard Goldstone ed ai suoi investigatori, e sono rimasti sollevati quando il 24 aprile ha annunciato pubblicamente che si stava indagando anche contro il leader serbo-bosniaco Karadzic ed il suo generale Mladic, non solo contro responsabili minori.
Le potenze invece non hanno gradito. “Così non si favorisce il negoziato di pace”, hanno sentenziato. Chissà per quanto tempo il tribunale dell’Aja riceverà i fondi e il personale necessario per poter funzionare.
Alexander Langer