21 dicembre 2006
All’inizio di un inverno in cui in Gran Bretagna si sono visti volare calabroni, farfalle e perfino rondini, alcuni orsi bruni sono stati visti aggirarsi per le montagne di Cantabrian, in Spagna, in un periodo in cui dovevano essere già immersi nel loro sonno invernale.
Gli orsi, con l’arrivo del freddo, riducono il metabolismo al minimo e si nutrono delle scorte accumulate. Queste creature possono perdere fino al 40% del loro peso fino alla primavera, quando tornano alla vita.
Alcuni ricercatori della Fundación Oso Pardo hanno reso noto che, negli ultimi inverni, molti dei 130 orsi della cordigliera settentrionale sono rimasti attivi. All’origine del cambiamento delle abitudini stagionali potrebbe esserci il clima mite, fattore che incide soprattutto sul comportamento degli orsi femmina con prole. La presenza di noccioline, castagne e bacche ha convinto le madri orso a fare lo sforzo di rimanere sveglie, così da procurare cibo. Tracce della loro possibile presenza erano già state individuate, ma solo negli ultimi tre anni tali segni sono stati verificati e confermati.
Per gli orsi maschio, che ancora vanno in letargo, il periodo di “assenza” si accorcia di anno in anno.
La scarsità di neve e il fatto che l’autunno arriva più tardi e la primavera in anticipo stanno concedendo un mese di attività “extra” agli orsi.
Per quanto ancora non ci siano prove sicure che la “non ibernazione” sia causata dal riscaldamento globale, tutto sembra portare in quella direzione.
L’orso bruno europeo ha una pelliccia marrone scuro, le zampe nere e il muso bruno fulvo. Vede poco, ma a colori e anche di notte, e se minacciato si leva sulle zampe per vedere meglio. Può vivere fino a 30 anni, ha un udito molto sviluppato, come pure l’olfatto, che gli permette di percepire la presenza di cibo a grande distanza. E’ carnivoro, ma il suo sistema dentale sarebbe adatto anche a una dieta onnivora. Questi animali iniziano l’ibernazione tra ottobre e dicembre e riprendono l’attività tra marzo e maggio.
L’orso bruno presente nelle montagne di Cantabrian, una specie protetta, è stato a lungo in pericolo di estinzione. Ora si sta riproducendo. All’inizio degli anni ’90 tra i 70 e i 90 orsi presero casa in queste montagne. Oggi sono ben 130 a vivere lì.
(The Independent)

27 dicembre 2006
La scienza non è ancora sicura sulla loro efficacia, ma in tutto il Paese si stanno diffondendo programmi per la salute del cervello, offrendo una sorta di “fontana della giovinezza” cognitiva.
Dalla “brain gyms” in internet ai cibi e le attività salutari per il cervello, le varie proposte hanno come target i figli del baby-boom che vogliono contrastare l’ansia per la mezza età, ma anche i loro genitori preoccupati per la perdita di memoria o la demenza.
Per molti è questo il business del futuro e decine di studi e ricerche sono in corso d’opera.
Ci sono siti come www.happy-neuron.com, che offrono agli iscritti degli esercizi di “rafforzamento” del cervello, oppure come www.mybraintrainer.com che si rivolge a chiunque abbia desiderato essere un po’ più veloce, un po’ più brillante mentalmente.
Esistono anche dei videogiochi, come “Brain Age”, della Nintendo, basato su alcune competenze di base, come la matematica elementare, la sillabazione, la lettura, la memoria, che offrono “un po’ di allenamento alla corteccia prefrontale” come spiegano le istruzioni.
Roy Gustafson, 85 anni, dopo aver approfittato di una promozione per provare il Brain Age, che ha subito abbandonato, ora quasi quotidianamente si intrattiene con il Sudoku, perché lo tiene sveglio.
Certo tutte queste attività male non fanno, ma qualcuno è cauto rispetto alle illusioni che potrebbero insorgere.
L’“Epoch Senior Living in Providence” è tra i più attrezzati centri di fitness “cerebrale”; gli ospiti trascorrono almeno un’ora al giorno (per otto settimane) facendo esercizi e test al computer, come ripetere una storia con il maggior numero di dettagli o riconoscere sillabe dal suono quasi identico.
David Horvitz, 92 anni, uno dei degenti di Epoch, dice di riuscire a leggere con maggiore concentrazione ora e di aver l’impressione di ricordare qualche nome in più.
C’è poi l’“Emeritus Assisted Living”, una catena che finora ha aperto centri in Florida, Massachusetts e South Carolina; qui vengono proposti cibi adeguati e varie attività, oltre a molto esercizio fisico. Ray Decker ha scelto uno di questi centri per la madre, Joan, 75 anni, allo stadio iniziale dell’Alzheimer. La speranza è di provare a farla “tornare indietro”.
Per quanto dagli studi sugli animali siano usciti dei risultati incoraggianti, le ricerche sugli umani non hanno ancora dimostrato che tutto questo serva.
Il dottor Albert Marilyn, della Johns Hopkins University, mette in guardia dalle false speranze. Che fare un miglio al giorno migliori la memoria o che giocare a puzzle abbia dei benefici, è tutto da dimostrare. Tra l’altro pochi scienziati credono che l’esercizio mentale possa prevenire la demenza, tutt’al più potrebbe ritardarla.
Sicuramente l’esercizio fisico, migliorando la circolazione, ha un effetto positivo anche sul cervello; così come i cibi che fanno bene al cuore fanno bene anche alla testa, molto probabilmente.
Tra l’altro, alcune ricerche condotte su pazienti con problemi di demenza o Alzheimer hanno dimostrato che i risultati positivi ottenuti nelle simulazioni non necessariamente trovano riscontro nella vita reale. Riuscire a ripetere, in ogni minimo particolare, una storia potrebbe non aver alcun effetto dimostrabile rispetto alle competenze richieste nella vita di tutti i giorni.
Le compagnie che producono i software usati in questi centri vantano miglioramenti straordinari: persone di 80 anni con performance da trentenni. Posit, una di queste società, spera di riuscire ad adattare il software ai malati di Alzheimer allo stadio iniziale e ai casi di demenza associata all’Aids. Per non parlare dei possibili altri usi: migliorare il rendimento degli impiegati più vecchi…
Mentre queste esperienze si diffondono e crescono (alcuni centri stanno avviando partnership con rivenditori di alimentari “certificati” ecc.) alcuni esperti riconoscono che, per quanto i risultati cognitivi siano dubbi, questi esercizi mentali potrebbero comunque avere dei benefici psichici.
Dorothy Pereshluha, 84 anni, prima faticava a trovare la propria camera, come pure a ricordare i nomi, mentre oggi sostiene di sentirsi molto meglio.
Alice Babulicz, 75 anni, dice che il “brain fitness” le ha permesso di prestare maggiore attenzione in chiesa e le ha dato una tale energia che ora riesce a camminare anche per 4-5 isolati. Marcia Mittleman, 88 anni, dopo aver seguito due volte i corsi di Epoch (ricevendo una medaglia e una sorta di diploma) afferma di aver riempito un vuoto.
Alla domanda se le sue funzioni mentali siano migliorate, ha risposto: “Se mi ha reso più brillante? Beh, questo no”. Dopodiché si è girata è ha chiesto: “Qualcuno ha visto il mio girello per camminare?”.
(The New York Times)

30 dicembre 2006
Trovare un posto per i milioni di nuovi studenti è oggi una delle missioni più impegnative e gratificanti per l’Africa Sub-Sahariana.
Quasi 22 milioni di ragazzini hanno riempito le classi tra il 1999 e il 2004, aumentando i tassi di iscrizione del 18%: oggi più di sei bambini su dieci si iscrivono a scuola.
A Bamako, in Mali, Makamba Keito, il direttore di una scuola appena ultimata, si aspettava non più di 420 bambini, ma all’apertura delle iscrizioni, un bollente sabato di settembre, in lista ce n’erano già più del doppio -ed erano solo quelli mandati da altre scuole sovraffollate.
Keito ha accettato ancora qualche decina di iscrizioni poi, arrivato a 887 (126 alunni per insegnante) ha dovuto fermarsi e pregare gli altri di andare altrove.
E’ proprio cambiato il clima in questa regione; questo per due fattori: intanto la volontà da parte dei donatori internazionali e dei governi africani di investire sull’istruzione di base; questo a sua volta ha incoraggiato i genitori africani, che per la prima volta vedono una chance di offrire ai figli quel futuro che è stato loro negato.
La sfida evidentemente è enorme: parliamo di una vera marea di bambini in età scolare. Il 44% degli abitanti dell’Africa Sub-Sahariana ha meno di 15 anni -il più alto tasso al mondo.
Qui vive un sesto dei bambini del mondo e la metà dei bambini senza istruzione.
Il Mali è uno dei paesi più poveri del mondo, con il secondo più alto tasso di natalità. Eppure proprio qui è partita una vera crociata per portare i bambini sui banchi di scuola, resa possibile anche dai contributi (triplicati dal 1999 al 2004).
Nell’ultimo quinquennio, il Mali -ogni anno- ha creato mediamente 667 nuove classi e assunto 1962 insegnanti.
Nonostante gli ingenti sforzi, tuttavia, i genitori del Mali vorrebbero che le cose procedessero più velocemente. Così, anziché aspettare, si sono messi a costruire -con le loro mani e i loro mezzi- delle scuole di comunità, reclutando insegnanti che casomai non sono andati oltre le scuole elementari.
Negli ultimi anni queste “Community school” stanno crescendo molto più velocemente di quelle pubbliche. I genitori sono pronti a tutto pur di mandare i figli a scuola: pensano che questo potrà migliorare il futuro di tutti.
Gli esperti danno loro ragione: oggi nell’Africa Sub-Sahariana, due adulti su cinque sono analfabeti; nessuna popolazione ha mai potuto aspirare a una rapida crescita economica con una popolazione così poco istruita, spiegano gli analisti della Banca Mondiale.
La scuola poi è la migliore chance per i quasi 12 milioni di bambini che hanno perso uno o entrambi i genitori per l’Aids.
L’ultima arrivata nella scuola di Bamako è Miriam Coulibaly, i cui tratti delicati nascondono uno stile di insegnamento “feroce”. Ha solo 25 anni, si è diplomata a giugno, insegna a metà dei suoi 195 alunni il mattino, corre a casa per pranzo e poi si precipita di nuovo a scuola per insegnare all’altra metà. Forse sono in tre ad avere i libri di testo. Per quanto la Banca Mondiale stimi che ciascun bambino abbia a disposizione almeno un libro di testo, una recente ricerca ha dimostrato che solo il 60% dei libri acquistati per le scuole è arrivato a destinazione. La stessa Miriam è stata costretta a prendere i suoi libri in prestito. Manca tutto, anche i gessi.
Meno della metà degli studenti finisce il ciclo della scuola elementare, uno su cinque ripete una classe; un tasso comune all’intera area. Molti di questi bambini rappresentano la prima generazione alfabetizzata.
Il signor Bagayoko racconta che i suoi genitori l’avevano ritirato da scuola, dopo solo due anni, perché doveva badare agli animali. Ora lavora come tesoriere, volontariamente, così che i suoi otto figli e gli altri bambini possano studiare.
Fati Ba, dieci anni e una passione per gli orecchini brillanti a forma di cuore, è passata esattamente per la stessa situazione qualche anno fa. Racconta di aver detto al padre: “Mandami a scuola, amo studiare, capisco le cose”, e che i suoi hanno espresso il loro desiderio di vederla piuttosto badare alla mucca.
Tuttavia sono passati 30 anni dai tempi in cui Bagayoko aveva dovuto lasciare la scuola e questa volta ha vinto Fati. Ora ha sulle spalle uno zainetto con le bretelle rosa e prende regolarmente i voti migliori della sua classe.
(The New York Times)

9 gennaio 2007
I primi prigionieri sono arrivati a Guantanamo nel gennaio del 2002. Erano ammanettati, incatenati e incappucciati. La ragione di queste misure eccezionali, come aveva spiegato il Generale Richard Myers, era che si trattava di prigionieri molto pericolosi.
A distanza di cinque anni, nessuna di queste persone ha avuto un processo. Dieci sono state formalmente accusate, mentre altre centinaia sono tornate nei loro paesi e rilasciate. Nel frattempo tre si sono suicidate, almeno altre 40 ci hanno provato e lo stato di salute mentale degli altri circa 400 prigionieri rimasti è sempre più preoccupante.
A risultare incredibile non è solo che Guantanamo esista ancora, ma che abbia distolto l’attenzione dalle altre prigioni segrete americane. Ad agosto dello scorso anno risultavano 14.000 detenuti sotto custodia americana in giro per il mondo, ha spiegato Clive Stafford Smith, direttore di un’associazione legale che assiste alcune decine di detenuti.
Il punto più basso è stato raggiunto nel giugno del 2006 quando tre giovani detenuti si sono impiccati usando dei lenzuoli annodati. Per disperazione hanno detto in molti. Un’azione di “guerra asimmetrica ingaggiata contro di noi” ha replicato il comandante della base.
Già a dicembre 2005 erano esplose molte polemiche alla scoperta che i prigionieri che avevano minacciato di fare lo sciopero della fame, venivano legati alle sedie e costretti all’alimentazione forzata. Il generale Bantz Craddock non aveva trovato nulla di disdicevole nell’inserire nella gola e nelle narici dei detenuti delle cannule per alimentarli. I rapporti sugli abusi, le violenze, le umiliazioni non si contano. Secondo quanto si racconta, i prigionieri vengono tenuti in isolamento, senza la possibilità di dormire, picchiati, costretti a subire umiliazioni di matrice sessuale e religiosa, imbrattati con finto sangue mestruale, fotografati nudi, minacciati e terrorizzati in tutti i modi.
Uno spiraglio pareva essersi aperto lo scorso giugno, quando la Corte Suprema degli Stati Uniti ha sentenziato che l’uso di tribunali militari fatto dall’amministrazione Bush era incostituzionale e che ogni singolo prigioniero aveva il diritto di essere ascoltato in un tribunale. Tre mesi dopo il Congresso ha emanato una serie di nuove leggi per aggirare tali disposizioni.
(The Independent)

10 gennaio 2007
Ambiente e salute: breve riepilogo del 2006
1 gennaio: le Nazioni Unite proclamano il 2006 “Anno internazionale della lotta alla desertificazione”, per dar rilievo sul piano ambientale e sanitario alle variazioni climatiche nelle regioni aride del pianeta.
12 gennaio: Australia, Cina, India, Giappone, Corea del Sud e Stati Uniti ratificano un trattato commerciale farsa per “l’energia pulita” (Clear Energy Act), in opposizione al Protocollo di Kyoto; la New York Review of Books parla di “accordo infausto”.
18 Gennaio: in una conferenza internazionale a Pechino, i governi del mondo decidono di stanziare 1,85 miliardi di dollari per combattere l’influenza aviaria.
7 febbraio: l’Organizzazione mondiale del commercio (Wto) sanziona l’Unione Europea per le restrizioni al commercio di soia, cotone e grano geneticamente modificati.
8 marzo: il più importante studio mai svolto su Antartide e Groenlandia rivela una netta riduzione della banchina polare; mentre le estremità si assottigliano, i ghiacciai scivolano all’esterno.
11 aprile: le Nazioni Unite collegano l’espandersi dell’influenza aviaria alla riduzione delle aree paludose; per questa ragione gli uccelli selvatici entrano con più frequenza in contatto con quelli domestici.
2 maggio: a causa del declino continuo della loro popolazione, ippopotami e orsi polari sono inseriti nella lista delle specie animali a rischio di estinzione.
6 giugno: la Cina inaugura la Diga delle tre gole, imprigionando il fiume Yangtze dentro il più grande impianto di energia idroelettrica del mondo.
14 luglio: durante la guerra del Libano, gli attacchi aerei israeliani su un impianto per la produzione di energia provocano un versamento di petrolio che contamina 200 km di costa del Mediterraneo.
19 agosto: le esalazioni dei rifiuti tossici scaricati da un cargo olandese nei bassifondi di Abidjan (Costa d’Avorio) causano almeno 10 morti e il ricovero di migliaia di persone.
20 settembre: lo stato della California cita in giudizio General Motors, Toyota, Ford, Honda, Chrysler e Nissan, per i costi associati alle emissioni di gas-serra causate dai loro veicoli.
6 ottobre: 17.000 persone devono evacuare le loro abitazioni per una nuvola di gas fuoriuscita dopo un’esplosione in un impianto chimico vicino ad Apex (Stati Uniti, North Carolina).
2 novembre: la disponibilità di tonno nel Mediterraneo occidentale risulta ridotta al 15% rispetto a dieci anni prima: entro 40 anni molluschi, crostacei e pesce spada spariranno dalle nostre diete.
26 dicembre: nella periferia di Lagos, in Nigeria, almeno 200 persone muoiono carbonizzate da un’esplosione mentre si accalcano attorno al foro di un oleodotto da cui spilla petrolio raffinato.
31 dicembre: si contano nel mondo 267 casi di influenza aviaria trasmessa all’uomo; i morti sono 161, principalmente registrati nei paesi del Sud Est asiatico (Vietnam, Indonesia, Cina), in Egitto e in Turchia.
(State of the World 2007: Our Urban Future, traduzione italiana a cura di Edizioni Ambiente; Organizzazione Mondiale della Sanità - www.who.int)

12 gennaio 2007
B’Tselem (Centro Israeliano di Informazione sui Diritti Umani nei Territori Occupati) ha pubblicato le sue statistiche annuali:
Nel 2006 abbiamo osservato un progressivo deterioramento nello stato dei diritti umani nei Territori Occupati, dovuto in particolar modo all’incremento delle morti civili e della distruzione di case ed infrastrutture in tutta la Striscia di Gaza. Allo stesso tempo, sono aumentate le morti tra i civili israeliani.
Vittime. Dal primo gennaio al 27 dicembre 2006 le forze di sicurezza israeliane hanno ucciso 660 palestinesi nei territori occupati ed in Israele.
Questo dato include 141 minorenni. Almeno 322 delle vittime non stavano prendendo parte alle ostilità al momento della morte. Altre 22 sono state assassinate. Nella sola Striscia di Gaza, dalla cattura del Caporale Gilad Shalit, le forze israeliane hanno ucciso 405 palestinesi, di cui 88 minorenni. Di questo totale, 205 non risultavano impegnati in combattimenti al momento della morte.
Nel corso del 2006 i palestinesi hanno ucciso 17 civili israeliani sia nel West Bank che in Israele, e 6 membri delle forze di sicurezza israeliane.
Demolizioni. Nel corso delle operazioni militari nei Territori Occupati, Israele ha demolito 292 case, 279 delle quali nella Striscia di Gaza. Circa 80 di queste demolizioni sono state compiute dopo che i proprietari avevano ricevuto un avviso. Inoltre, sono stati demoliti 42 edifici abusivi a Gerusalemme Est.
Checkpoint e limitazioni alla libertà di movimento. All’interno della West Bank Israele mantiene circa 54 posti di blocco permanenti, quasi sempre attivi. Altri 12 checkpoint si trovano nella cittadina di Hebron. Ci sarebbero inoltre circa 160 posti di blocco “mobili” che si spostano per il West Bank di settimana in settimana. Oltre ai checkpoint, l’esercito Israeliano ha eretto centinaia di ostacoli come blocchi di cemento, mucchi di terra e trincee lungo le strade, per impedire l’accesso alle comunità palestinesi. Ai palestinesi non è concesso l’ingresso a 41 strade del West Bank, riservate agli israeliani.
Detenuti. A novembre 2006 Israele deteneva 9075 palestinesi, di cui 345 minorenni. Di questi, 738 erano tenuti in detenzione amministrativa, senza alcun processo e senza che fossero stati loro comunicati i capi d’accusa.
(www.btselem.org)

15 gennaio 2007
Probabilmente per la prima volta nella storia, negli Stati Uniti le donne non sposate hanno superato quelle sposate.
Nel 2005, il 51% risultava vivere senza un marito, contro il 35% del 1950 e il 49% del 2000.
Molti fattori, tra l’altro, fanno intendere che la tendenza si consoliderà: le donne si sposano sempre più tardi o preferiscono convivere, d’altra parte le vedove e le donne divorziate si risposano meno frequentemente degli uomini.
A questo si aggiunga che il tasso di matrimoni tra le donne nere resta molto basso: il 30%, contro il 49% delle ispaniche, il 55% delle donne bianche non ispaniche e il 60% delle donne asiatiche.
Il fatto che le coppie non rappresentino più la maggioranza dei nuclei familiari è destinato a influire anche sulle future politiche sociali.
Stephanie Coontz, del Council on Contemporary Families, un gruppo di ricerca, segnala come ormai il matrimonio abbia cessato di essere l’istituzione attorno alla quale si organizza la vita delle persone. “Molte di queste donne si sposeranno o sono già state sposate, ma in media oggi gli americani trascorrono metà della loro vita adulta fuori dal matrimonio”.
William H. Frey, demografo e ricercatore a Washington, segnala questo dato come un importante punto di svolta, esito dei movimenti degli anni ’60 e di una maggiore indipendenza delle donne dagli uomini. Le giovani donne l’hanno già capito e così impostano la loro vita pronte a passare lunghi periodi sole o con conviventi. Per le donne della generazione precedente d’altronde l’istituzione del matrimonio non ha mantenuto le aspettative.
Carol Crenshaw, 57 anni, di Roswell, in California, divorziata nel 2005, dopo 33 anni di matrimonio, due figli adulti, dice di non aver alcuna fretta di risposarsi: “Posso fare ciò che voglio, quando voglio, con chi voglio”.
Anche Shelley Fidler, 59 anni, consulente per le politiche pubbliche, dopo 30 di matrimonio e un trasferimento dalle campagne della Virginia a un quartiere di Washington, ancora non riesce a credere alla quantità di tempo liberato, alla possibilità di stare con gli amici, ma anche da sola.
Dei 117 milioni di donne sopra i 15 anni (questa l’età considerata per l’ultima rilevazione statistica), 63 milioni sono sposate. Di queste, più di tre milioni sono legalmente separate e quasi due milioni e mezzo, per qualche ragione, non vivono con i loro mariti. Questo porta il numero complessivo di donne che attualmente vivono con i loro mariti a 57 milioni e mezzo.
Il tasso di persone sposate è andato progressivamente riducendosi, specie tra i giovani. Tra il 1950 e il 2000 il numero delle donne sposate tra i 15 e i 24 anni è precipitato dal 42% al 16%; tra i 25 e i 34 anni dall’82% al 58%.
Besse Gardner, 24 anni, e il fidanzato vivono assieme a Los Angeles, ma lei non considera affatto la convivenza come qualcosa destinato a durare tutta la vita. Anzi: “Mi vengono i brividi a pensare di dover sposare la persona con cui oggi divido l’appartamento, ma pensare a questo al momento non ha alcun senso”.
Così Elissa B. Terris, 59 anni, divorziata nel 2005 dopo 34 anni di matrimonio e una figlia adulta, ha appena rifiutato una proposta di matrimonio: “Gli ho detto: ho appena ricominciato a volare, a sentirmi me stessa”. Il matrimonio l’aveva in qualche modo “invecchiata”, ora è di ritorno da un college dove si è iscritta a un Master (il marito gliel’aveva impedito), ha seguito dei corsi di fotografia e sta facendo delle audizioni per un pezzo teatrale. Finalmente può scegliere: “Una notte ho provato a dormire dall’altra parte del letto e ho pensato: mi piace questo lato”.
(International Herald Tribune)

16 gennaio 2007
La revisione del programma di educazione sessuale nella Contea di Montgomery, che ha provocato azioni legali, petizioni e una copertura mediatica nazionale, oltre a una polarizzazione della comunità, è stata ispirata da due semplici parole, sepolte nel Codice del Maryland, che raccomandano ai sistemi scolastici di occuparsi di “variazioni sessuali”.
L’espressione evidentemente si presta alle interpretazioni più varie.
Il nuovo curriculum, adottato a Montgomery la scorsa settimana, per essere testato a primavera, si addentra nelle delicate questioni dell’identità sessuale e di genere molto più di quanto la maggior parte delle scuole dell’area di Washington abbia mai osato fare.
Jean-Marie Navetta, portavoce dell’organizzazione “Genitori, Famiglie e Amici di Lesbiche e Omosessuali” spiega come tutti oggi attendano con ansia l’esito di questo processo. Se il provvedimento supera le varie sfide, anche legali, che si presenteranno, potrà infatti essere replicato.
L’iniziativa che oggi ha posto Montgomery in prima linea nel dibattito nazionale che ha investito l’educazione sessuale a scuola, è partita da un comitato di cittadini, che già cinque anni fa aveva inserito tra le raccomandazioni per il governo locale quella di porre fine al divieto (di fatto) di discutere di omosessualità in classe.
Alcuni membri del Comitato Consultivo sulla Vita Familiare e lo Sviluppo Umano -organismo istituito da una legge statale- infatti avevano notato come in cinque degli otto sistemi scolastici in vigore nell’area di Washington venivano fornite alcune indicazioni che facevano riferimento alle “variazioni sessuali”.
Le lezioni, che parlavano di orientamento sessuale in un contesto di tolleranza e diversità, avevano soddisfatto il comitato cittadino, ma anche lo staff scolastico, portando appunto la contea in una posizione di avanguardia.
Tuttavia il nuovo corso si è scontrato con la resistenza di un gruppo di genitori che ha raccolto 3700 firme.
Un giudice ha sospeso il programma di studi nella primavera del 2005. Una nuova versione parzialmente epurata è stata infine ripristinata la scorsa settimana.
Il nuovo programma prevede che all’argomento siano dedicati due moduli di 45 minuti per i ragazzi dai 13 ai15-16 anni (dall’ottavo al decimo livello).
Il caso di Montgomery ha scatenato reazioni differenti nelle scelte delle altre contee. Le scuole di Fairfax introducono il tema dell’omosessualità al nono livello e quello della bisessualità al decimo, enfatizzando i concetti di rispetto e dignità.
La contea di Loudon, ma anche altre, hanno invece ristretto il loro programma fino a censurare completamente l’argomento.
Nella contea di Prince William, infine, l’omosessualità viene trattata esclusivamente quando si parla delle malattie a trasmissione sessuale. Gli insegnanti devono “limitare la discussione alla definizione tecnica (attività sessuale compiuta con un membro dello stesso sesso) senza fare alcun esplicito riferimento alla legittimità di questo stile di vita”. Gli studenti con ulteriori domande o dubbi verrano indirizzati ai genitori o a un tutor.
(Washington Post)

17 gennaio 2007
I partiti dell’estrema destra europea hanno raggiunto in questi giorni un nuovo traguardo, conquistando più soldi e influenza politica nel Parlamento europeo.
L’ingresso di Romania e Bulgaria ha permesso agli ultranazionalisti di assicurarsi un numero di parlamentari sufficienti a creare un vero blocco, rivendicando l’appoggio di 23 milioni di cittadini europei. (Il regolamento parlamentare pone infatti come condizioni per la formazione di un nuovo gruppo, la presenza di almeno 20 membri, appartenenti ad almeno sei nazioni -requisito raggiunto appunto con l’entrata di Romania e Bulgaria nell’Unione Europea).
Tra manifestazioni di protesta, ma anche di scherno, ieri i 20 parlamentari europei hanno così potuto siglare la nascita di una nuova formazione, l’Its, “Identità, Tradizione, Sovranità”. In quanto gruppo riconosciuto avranno diritto a un milione di euro di finanziamento. Il gruppo è guidato da Bruno Gollnisch, del Fronte Nazionale francese, in attesa del verdetto per l’accusa di negazionismo.
Tra i membri, c’è il parlamentare bulgaro Dimitar Stoyanov, che si è subito scagliato contro “l’insediamento ebraico” e gli zingari che fanno prostituire le bambine. Anche la suoneria del suo cellulare è in linea con le sue posizioni politiche: un inno nazionale che racconta le atrocità dei turchi e sprona a lottare per la nazione bulgara.
Martin Schulz, leader del gruppo socialista, il secondo più numeroso, ha fatto un appello agli altri membri: “Non possiamo lasciare che questo Parlamento, simbolo dell’integrazione europea, finisca nelle mani di chi di fatto nega i valori dell’Europa”.
Nella nuova formazione negazionista, xenofoba, omofoba e antisemita, compaiono anche Le Pen, del Fronte Nazionale francese, Alessandra Mussolini, Frank Vanhecke, leader del movimento separatista Belga, e Andreas Mölzer, già braccio destro di Jörg Haider.
Bruno Gollnisch, all’insediamento, ha espresso la propria soddisfazione per i milioni di cittadini europei che fino ad ora non hanno potuto essere rappresentati. Ha poi aggiunto: “Noi saremo la coscienza del parlamento, i vigili difensori dei popoli e delle nazioni dell’Europa che ambiscono a un grande continente e a una grande civiltà”.
(The Independent)

18 Gennaio 2007
Le Nazioni Unite hanno comunicato che nel 2006 più di 34.000 iracheni sono deceduti di morte violenta. Si tratta del primo conteggio completo delle morti civili dall’inizio del conflitto, e un chiaro segno del fallimento delle misure di sicurezza implementate dai governi iracheno ed americano.
Il rapporto è stato realizzato utilizzando i dati delle sale mortuarie, degli ospedali e delle autorità locali.
Il numero dei morti civili, principale indicatore della piega presa dalla guerra, si è rivelato estremamente imbarazzante tanto per le autorità irachene quanto per quelle americane.
Un portavoce del governo iracheno ha definito esagerata questa stima, esprimendo dubbi sulla correttezza delle fonti.
Le morti violente sono raddoppiate rispetto al 2005 e l’assenza di sicurezza è diventato il principale ostacolo al successo dell’operazione Iraqi Freedom.
Il giorno della pubblicazione parziale del rapporto, altri 70 iracheni sono rimasti uccisi in una serie di attentati avvenuti presso l’Università Sciita, nella zona nod-est di Baghdad.
Dopo quasi quattro anni di guerra impiegati a combattere un nemico perlopiù inafferrabile -militanti sunniti e, più di recente, squadroni della morte sciiti- oggi la priorità è diventata la difesa della vita degli Iracheni.
E’ un proclama che per molti iracheni giunge tardivo. Dopo il fallimento dei tentativi di rendere sicura Baghdad, decine di migliaia di iracheni del ceto medio hanno abbandonato il paese. Chi resta, stretto in una spirale di vendetta, tende a radicalizzarsi.
Il rapporto delle Nazioni Unite afferma che nel 2006 si è registrata una media di 96 morti violente al giorno -di cui almeno la metà nella capitale. La maggioranza perde la vita a causa di ferite d’arma da fuoco, vittime di esecuzioni sommarie, metodo privilegiato dagli squadroni della morte sciiti e sunniti. Il mese più nero è stato ottobre, con un leggero calo delle violenze nei due mesi successivi.
Sarebbero dunque gli scontri tra sciiti e sunniti -una novità rispetto ai primi anni della guerra- ad aver fatto lievitare il numero dei morti.
I corpi spesso riemergono dopo giorni dalle fogne e dalle discariche. In base al rapporto dell’Onu, la maggior parte dei corpi non identificati è stata rinvenuta in sei quartieri di Baghdad, di cui tre Sunniti -Dora, Rashidiya ed Adhamiya- e tre Sciiti - Sadr City, New Baghdad e la desolata baraccopoli di Shuala.
Doloroso anche il contributo in vite umane pagato dalle forze armate; in base alle fonti del Ministero dell’Interno, sarebbero 12.000 i morti tra le forze di polizia e l’esercito.
“E’ importante risalire alle cause prime della violenza” -dice Gianni Magazzeni, responsabile della Missione Onu di assistenza all’Ufficio Iracheno per i Diritti Umani, che ha redatto il documento, perché il tasso di impunità dei crimini scatena a sua volta sete di giustizia.
Il rapporto ritrae una società ormai al collasso. Si stima che, dal febbraio 2006, non meno di 470.094 iracheni abbiano abbandonato le loro case. Questo dato è risultato più alto nella provincia sunnita di Anbar, dove ad andarsene sono state 10.105 famiglie. Seguono le provincie di Karbala, nel sud, Baghdad, e Dohuk, nel nord del paese.
Nel rapporto si legge: “Quest’assenza di legge ed ordine ha sicuramente fomentato gruppi criminali di varia affiliazione, alcuni dei quali promuovono le proprie attività utilizzando internet, sms, messaggi video e pamphlet”.
A subire la violenza sono soprattutto le classi più povere. Una donna delle pulizie di Baghdad, Um Qasim, ha perso tre fratelli, una cognata, un nipote e due figli, negli ultimi tre anni. Due dei suoi figli rimasti in vita si trovano in prigione, a Mosul, per aver preso parte ad un rapimento organizzato dal fratello di Um Qasim.
La sua vita era migliorata all’indomani dell’invasione. Nel corso dei saccheggi di quel periodo, la sua famiglia era riuscita a rubare mattoni e pezzi di metallo con cui avevano costruito un nuovo tetto ed un secondo piano per la loro casa.
Le cose sarebbero presto cambiate: i due figli arrestati per aver partecipato al tentativo di rapimento, un figlio sedicenne ucciso da un estremista sunnita vicino casa, in una zona a prevalenza sunnita dove nelle ultime settimane si sono registrati molti scontri.
La signora Qasim lavora in molte case come donna delle pulizie. Ai tempi di Saddam Hussain, il suo principale problema era come sfamare i suoi figli: ora è come tenerli vivi.
Le violenze si sono talmente inasprite che gli ospedali e gli obitori non riescono più ad accogliere i cadaveri. A Najaf, nel sud del Paese, i cittadini hanno dovuto chiedere alle autorità di riesumare i corpi da una fossa perché oramai affioravano. A Baquba, nel nord, sono stati ritrovati i corpi di 28 membri della tribù Shimari, che erano stati rapiti.
A Baghdad, dove ogni giorno vengono ritrovate dozzine di corpi martoriati, la zona più pericolosa si trova al confine con Sadr City, la più grande enclave sciita della zona. Lì, i corpi vengono gettati in fosse predisposte, chiamate al-Sadda.
Il rapporto fornisce anche i dati relativi ai rapimenti: non si hanno più notizie di almeno 70 iracheni, quasi tutti sunniti. Il sistema dei rapimenti ha completamente ridisegnato la composizione dei quartieri. Al Sinek, un mercato del centro di Baghdad, gli sciiti stanno lentamente scomparendo.
(New York Times)

19 gennaio 2007
L’Unicef ha annunciato una riduzione del 60% per la mortalità da morbillo nel mondo; le vittime sono scese da 873.000 nel 1999 a 345.000 nel 2005. In Africa la riduzione è stata del 75%: da 506.000 a 126.000 morti l’anno.

19 gennaio 2007
Save the Children stima che oggi in Iraq muoiano 59 neonati su 1000, il più alto tasso di mortalità al mondo. La causa principale è la carenza dell’attrezzatura di base. Nell’ospedale di Diwaniyah, a sud di Baghdad, un medico è stato costretto a ventilare un bambino con un tubo di plastica inserito nel naso, per mancanza di maschere d’ossigeno (costo: 143 euro). Il bambino non ce l’ha fatta. Ancora, nel medesimo ospedale un neonato è morto perché mancava una fiala di vitamina K (poco più di un euro). La mancanza di guanti sterili (circa 5 euro) ha aumentato considerevolmente il rischio di infezioni. In più manca l’acqua potabile, il latte in polvere, ci sono continui blackout, i bambini che hanno perso una mano, un piede, una gamba, non hanno accesso alle protesi e non c’è nessuno nemmeno a occuparsi dei loro traumi. Fino a tre neonati vengono messi nello stesso incubatore, quando se ne trova uno.
La situazione è allo sbando. Dall’inizio dell’invasione, solo il 50% dei medici sono rimasti nel paese e l’epurazione degli ex membri del Baath hanno portato al tracollo dell’amministrazione sanitaria. Inoltre ospedali e ambulanze sono stati colpiti dai bombardamenti, per non parlare del fatto che medici e infermiere continuano a essere nel mirino dei miliziani.
Dal 2003 potrebbero essere morti fino a 260.000 bambini.
Una lettera disperata sottoscritta da un centinaio di medici sia iracheni che inglesi, e da esperti di diritto internazionale è stata indirizzata al primo ministro inglese.
I firmatari, oltre a descrivere la tragica situazione in cui versa il sistema sanitario, hanno ricordato che la convenzione di Ginevra sancisce che il “potere occupante” ha l’obbligo di mantenere l’ordine, ma anche di tutelare e garantire le condizioni di salute degli “occupati”.
(The Independent)

20 gennaio 2007
Se non vi siete mai trovati con 47 tonnellate di ferraglia pronta a schiacciarvi davanti al naso, potete fare una visita al museo della Guerra di Ho-Chi-Minh City, in Vietnam. Concretamente, le 47 tonnellate hanno la forma di un carro armato M-48, un oggetto i cui cingoli vi arrivano all’altezza del naso e sopra ci sta tutto il resto, compreso un cannone da 105 mm, due mitragliatrici e un motore da 750 cavalli che gli permette di toccare i 50 km all’ora, naturalmente consumando ben più di una Ferrari. Toccarlo con mano non è la stessa cosa che vederlo in fotografia: pesa come 50 Peugeot 206 messe una sopra l’altra e dà l’impressione di essere pronto a passarvi sopra dopo aver sterminato ogni altra forma di vita nei dintorni.
Il mostro d’acciaio non è l’unico residuato bellico parcheggiato nel cortile del museo, un anonimo edificio a due piani che nel 1968 ospitava degli edifici amministrativi, ma fa una certa impressione vederlo di fianco al negozio dei souvenir. Già, il negozio di souvenir: come ogni museo che si rispetti, anche quello della guerra ha un negozio con libri, gadget, magliette. Se volete una maglietta con la bandiera vietnamita, o un’edizione pirata del libro di Robert McNamara In Retrospect: the Tragedy and Lessons of Vietnam, le potete acquistare per pochi dollari.
Per 4 euro potete portarvi a casa un souvenir della guerra in cui i vietnamiti sconfissero una potenza nucleare: un accendino Zippo, quello diventato un’icona della civiltà americana quanto la Coca Cola. Non è, però, un prodotto di oggi, uscito da una qualche fabbrica di Taiwan: sono autentici Zippo regalati a qualche ragazza vietnamita, abbandonati sul campo di battaglia, o recuperati sul cadavere di un soldato americano morto. Non c’è turista proveniente dagli Stati Uniti che non ne compri uno.
Sono passati 32 anni da quando gli ultimi marines salirono sugli elicotteri pronti sul tetto dell’ambasciata di Saigon e si diressero, col loro tragico grappolo di vietnamiti che volevano partire anch’essi, verso le portaerei ormeggiate al largo. Oggi decine di migliaia di americani visitano il Vietnam ogni anno, e spesso vanno a bere una birra sulla terrazza dell’hotel Rex, dove un tempo i giornalisti chiacchieravano con i diplomatici e i militari prima di andare a trasmettere i loro articoli.
Su quella terrazza si passavano notizie, vendevano e compravano informazioni, organizzavano complotti (qui fu deciso il rovesciamento del governo Diem nel 1963, per esempio). I camerieri erano tutti informatori della resistenza: ogni tanto la polizia del regime filoamericano ne gettava qualcuno nelle cosiddette “gabbie di tigre” (al museo potete vedere anche quelle, ma io non ho lo stomaco per descriverle), gli altri continuavano il loro lavoro. Alla fine della guerra, il generale Giap ha rivelato che non una sola volta i bombardamenti compiuti sulla “pista di Ho Chi Minh” da cui transitavano i rifornimenti alla resistenza nel Sud distrussero un convoglio importante: i vietnamiti sapevano dei piani americani prima che questi venissero comunicati ai piloti dei B-52.
Tutto questo fa parte, oggi, delle attrazioni turistiche, come la baia di Ha Long, la cittadella imperiale di Huè, i mercati galleggianti sul Mekong e il mausoleo di Ho Chi Minh ad Hanoi. Quello che non hanno ottenuto i carri armati M-48 è stato facilmente realizzato dalla guida Lonely Planet. Forse è meglio così, ma penso che i diciottenni di entrambi i Paesi mandati a morire nelle risaie avrebbero gradito saperlo, 40 anni fa.
(Fabrizio Tonello)