Giovedì, 19 luglio 2007
Apri la finestra, fai un respiro profondo e guardati attorno. Presta particolare attenzione perché in questa stessa terra, 4000 anni fa, avresti potuto vedere Abramo, Sara e Hagar piantare la loro tenda su quella collina. O avresti potuto scorgere Rebecca portare l’acqua dal pozzo in quel wadi. Ancora, era possibile incontrare Giacobbe meditare su quel vasto campo aperto. Quale privilegio -penso- far parte di questa bella terra biblica con le sue pecore libere di pascolare, le sue imponenti querce dalle profonde radici, e le innumerevoli sorgenti e i pozzi che rinfrescano i passanti sotto il sole battente.
Ho sempre pensato di conoscere questa zona molto bene. Su queste colline a sud di Gerusalemme, non lontano dalla mia città, Ghilo, e più a sud, verso il deserto del Negev, ho trascorso la mia infanzia. Andando a trovare gli amici a Bat Ayin, Alon Shvut o Beer Sheva o facendo da guida ai giovani ebrei in arrivo dagli Usa, ho sempre pensato a questi paesaggi biblici come a un prezioso accesso alle pagine della Genesi. Sono stato attratto da una sorta di potere a queste narrazioni, come se una forza mi spingesse a ricordare. Il fatto è che in questo sforzo di ricordare ho finito per dimenticare... Guardavo, ma non vedevo.
Persone invisibili con problemi invisibili sono stati per me. Villaggi arabi senza nome, gente senza facce, senza storia, senza voce. In realtà sembra che nella mia psiche in qualche modo non ci fosse spazio per loro. Guardando i loro villaggi, mi sono mai chiesto: come vivono? Come vengono trattati? Perché i loro villaggi sono così diversi dai nostri insediamenti? Perché i loro bambini sono spesso a piedi nudi? Mi sono mai fermato a pensare alla vita di una famiglia o di un bambino in particolare?
Il fatto è che quando “guardare” si trasforma in vedere e sentire dentro, il senso di privilegio diventa senso di responsabilità. Responsabilità di sapere, capire, agire.
Quando si guida nel Negev, è difficile non accorgersi dei villaggi beduini. Si possono riconoscere dalle pessime strade che d’inverno diventano fangose; dalla mancanza di infrastrutture e pianificazioni; o dalla presenza di una varietà di animali nei cortili. In queste cittadine troverai comunità sfollate assieme alle loro tradizioni e ai loro ricordi. Quando vai più a fondo e ti dai la possibilità di ascoltare le loro storie, resti sgomento e ti trovi a scuotere la testa per l’incredulità rispetto a quello che è stato fatto negli ultimi 60 anni, nel nome della nostra gente.
“La gente non ha il diritto di esistere; anche solo di co-esistere” Ali, capo del Community Center Hura si è sfogato. Con la repressione, l’oppressione e la depressione delle tradizioni, delle strutture sociali e della “agibilità” economica, beduine, “lo Stato sta perdendo la solidarietà dei suoi cittadini beduini. Questo mina la possibilità di avere buoni cittadini”, ha aggiunto. Mercoledì 18 luglio, la Knesset, il parlamento israeliano, ha dedicato l’intera giornata a discutere il “problema beduini”. I beduini non si stancano di ripetere: “Non vogliamo essere un problema. Anzi, non siamo un problema. Vogliamo essere parte della soluzione, ma il governo ce lo rende impossibile negando legittimità al nostro modo di vivere, demolendo le nostre case o distruggendo le nostre tende…”. Alla Knesset, alla fine è stato messo sul tavolo delle trattative un accordo in base al quale il governo israeliano promette di non demolire alcuna casa beduina nell’anno a venire, a condizione che i beduini non costruiscano altre case senza il permesso.
Il nostro tour nel Negev è avvenuto il giorno seguente tali discussioni. Il mattino presto abbiamo sentito che almeno due case beduine erano state demolite. “Promesse, promesse…” abbiamo sentito dire da alcuni beduini. “Ci hanno ingannato nel passato e continuano a farlo ora”. Ci siamo recati nel sito delle abitazioni demolite a portare la nostra solidarietà. Il padrone di casa non ha voluto parlare con noi. Era troppo avvilito e sotto shock -questo giovane uomo non aveva perso solo la sua piccola casa, questa settimana era anche fissato il suo matrimonio. Matrimonio e festa sono stati cancellati e mi chiedo se assieme a quelli non sia stata cancellata anche la sua speranza.

Lunedì, 23 luglio 2007
A Hebron le case dei palestinesi hanno le finestre e i balconi chiusi da inferriate per proteggersi dalla violenza dei coloni.
“Oh, il muro del mio cuore! Il mio cuore piange, non riesco a ...[continua]

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