Lo studio della storia moderna dell’Italia è interessante, perché ci presenta, riassunta e abbreviata, come un quadro vivo, una fase dell’evoluzione economica e politica svoltasi in altri paesi durante parecchi secoli.
In Inghilterra -senza risalire fino agli avventurieri di professione e ai giovani spostati dell’Europa occidentale, compagni di Guglielmo Duca di Normandia nella conquista del paese, che si spartirono le spoglie dell’antica aristocrazia anglosassone, iscrivendo i loro acquisti in quel famoso catasto, che prese nella lingua dei vinti il nome sinistro di Doomsday-book (Giornale del Giudizio Universale)- la riforma religiosa del secolo XVI fu pretesto e segnale della spoliazione dei beni ecclesiastici e la rivoluzione del 1640 operò il passaggio del potere nelle mani della borghesia arricchita. II movimento continuò nella alienazione fraudolenta dei domini statali e col saccheggio legale delle terre comunali in virtù delle leggi chiavistello, leggi che, secondo James Caird, abbandonarono alla classe dominante non meno di 2.142.000 acri di terreno, pur riservando una parte del patrimonio ad uso pubblico; cosa, questa, nella quale esse furono raramente eseguite.
In Francia la grande rivoluzione della fine del secolo scorso decretò la vendita dei beni nazionali, i quali passarono per la maggior parte in mano di usurai campagnoli, di fattori e di affaristi più o meno avventurieri e sporchi, che formarono il grosso degli associati al banditismo nero. Questo provvedimento, come la fabbricazione di assegni, sempre meno rapida della loro spesa, poiché la carta cambia sempre titolo, i prestiti forzati e la creazione del gran libro -nuovo Doomsday-book- del reddito pubblico nel 1793, gettarono le fondamenta del dominio della borghesia.
L’ltalia, giunta ultima in questa carriera, ha tratto profitto dagli esempi lasciatile dalle due nazioni sue debitrici e, sommando gli espedienti dell’una a quelli dell’altra, ha precipitato la soluzione del problema. Gli ultimi trent’anni (1860-1890) sono bastati per maturare i destini della borghesia italiana, d’altronde già preparati dagli avvenimenti anteriori. Il 1860 è figlio del 1799.
Si ricordi il proclama lanciato dal Bonaparte al suo esercito d’ltalia quando vi giunse il 27 marzo 1796. "Soldati, siete malnutriti e quasi nudi. II governo vi deve molto, ma non può nulla per voi. La vostra sopportazione, il vostro coraggio vi fanno onore, ma non vi procurano né vantaggi né gloria. Io voglio portarvi nelle più fertili pianure del mondo: là troverete grandi città, ricche provincie; là troverete onore, gloria e ricchezza”. Queste sinistre promesse ebbero piena esecuzione.
Al nord e al sud, la conquista francese, o meglio, la conquista fatta in nome della nazione francese procedette nei modi propri di ogni impresa militare: città incendiate, o rase al suolo, abitanti passati per le armi, oltraggi delle soldataglie agli averi e alle persone, requisizioni di guerra, esazioni e concussioni di funzionari civili preposti al governo dei popoli, manomissione dei beni pubblici, violazione della libertà di stampa, proibizione di circoli politici, leggi eccezionali e giudizi sommari; delitti capitali sparlare della repubblica, abbattere l’albero della libertà; i cittadini disarmati e proibito il porto d’armi, pena la vita, distrutte le franchigie municipali, centralismo a oltranza. Insomma, sempre l’antico e funesto errore di voler fondare la libertà coi mezzi del dispotismo più vergognoso!
Nella Repubblica cisalpina, più tardi italiana, i furti, le soperchierie, le malversazioni d’ogni specie furono all’ordine del giorno: a più riprese il paese fu invaso da una burocrazia insaziabile, perchè ad ogni cambiamento di governo si nominavano nuovi impiegati. I beni nazionali furono arraffati da persone che non ne avevano fatto acquisto e non vi avevano alcun diritto; le imposte date in appalto ai funzionari medesimi dell’amministrazione e dovunque, al governo, uno sperpero sfrenato. Rubavano Massena, Murat; il generale Duguenet convinto di avere partecipato largamente ai contrabbandi e punito semplicemente con l’espulsione, il generale Pelit che faceva dono d’un lotto di beni nazionali a una compagnia di fornitori militari, dal presidente Melzi fatti poi citare dal tribunale. Si incominciarono a sciogliere gli ordini religiosi; e le imposte presero tale proporzione che, non soltanto il deficit del bilancio pubblico era permanente, ma un gran numero di possidenti, non po ...[continua]

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