Errata corrige
Nel numero scorso un brutto errore: parlando di Stefano Cucchi siamo riusciti a sbagliare il suo nome: Massimo invece di Stefano. Nel nostro piccolo abbiamo provato così la vergogna dell’incuria. Ci scusiamo con tutti.

30 novembre 2009. Morire di carcere
Il suicidio di Massimiliano Menardo, 36 anni, avvenuto l’altro ieri nel carcere di Sondrio, porta a 66 il numero dei detenuti suicidi dall’inizio dell’anno, avvicinandosi sempre più al "record” storico di 69 casi registrati nel 2001, mentre il totale dei morti "di carcere” sale a 160. La combinazione data dal sovrannumero di carcerati e dalla scarsità di personale penitenziario sta determinando una situazione insostenibile, dove oramai le morti di detenuti hanno cadenza quasi quotidiana.
Intanto il Viminale riferisce un calo generalizzato dei reati. La custodia cautelare è diventata una vera e propria "anticipazione della pena” (dovrebbe essere una misura eccezionale, invece i detenuti in attesa di processo sono oltre 31.000 - dati al 30 settembre).
In altre parole, le carceri sono strapiene anche perché vi si trovano troppi imputati -il 40% dei quali è destinato ad essere assolto- (dal 2002 al 2007 lo Stato ha speso 212mln di euro come riparazione per le ingiuste detenzioni) e troppi condannati con condanne minime (quasi 10 mila hanno meno di un anno di pena residua) che potrebbero scontare in misura alternativa.
Le morti sono più frequenti tra i carcerati in attesa di giudizio, rispetto ai condannati. Poi ci sono le vicende di detenuti che in carcere non dovevano essere: malati terminali, paraplegici, accusati del furto di una bicicletta, di resistenza a pubblico ufficiale, immigrati "catturati” in Questura dove erano andati a chiedere il rinnovo del permesso di soggiorno, tossicodipendenti in preda alla disperazione.
L’osservatorio ha raccolto 36 storie che offrono un triste spaccato del carcere oggi in Italia. La prima, datata 4 novembre 2004, è quella di Angelina Giornado, 55 anni, detenuta nel carcere di Perugia da 3 mesi per bancarotta, si è impiccata in cella. Era stata la titolare di una società, la Confezioni italiane Srl, con sede a Sassari, fabbrica di magliette e tute da ginnastica, dichiarata fallita nel ’93. In cura per depressione, non si era nemmeno presentata al processo che si era svolto a Sassari dove è stata giudicata in contumacia senza neanche l’ausilio di un legale di fiducia. Ritenuta "irreperibile”, non ha presentato appello e la condanna, così, è diventata definitiva. Per lei si sono aperte le porte del carcere per 4 anni, la pena per la bancarotta fraudolenta. In quel momento è arrivata la telefonata all’avvocato Taiti: "Mi tiri fuori perché non resisto”.
L’istanza è partita subito. "Sembra incredibile, ma non hanno trovato il tempo di dare una risposta”, dicono i familiari.
(Dall’Osservatorio permanente sulle morti in carcere)

30 novembre 2009. Aids.
La pandemia di Hiv, iniziata 28 anni fa, è ufficialmente in declino.
Il numero di persone infette ha avuto il suo picco a metà degli anni ’90 e in base al rapporto annuale congiunto di UnAids e dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, si sarebbe ormai ridotto di un terzo. Nello specifico avrebbe toccato lo zenit nel 1996 con ben tre milioni e mezzo di casi di contagio. E’ la prima volta che questo trend viene confermato a livello ufficiale. Nello stesso periodo, il numero di persone che convive con la malattia è sensibilmente aumentato, anche grazie ai farmaci antiretrovirali.Le origini del declino del virus restano discusse. C’è chi imputa il successo alle campagne di educazione sessuale e di prevenzione, altri studiosi obiettano che il declino era già iniziato e che alcuni dei paesi che hanno visto la maggiore riduzione dei contagi in realtà non sono stati interessati da queste massicce campagne. Questo dato costringerà anche a rivedere i prossimi interventi. Da tempo qualcuno denuncia come l’Hiv sia il problema minore rispetto a malaria e malattie diarroiche. Resta l’eccezione dell’Africa sub-sahariana, dove il tasso di incidenza rimane molto alto. I medici di UnAids ribadiscono che invece la prevenzione ha avuto successo e che comunque non è ancora il momento di abbassare la guardia dato che si registrano ancora 7400 nuove infezioni al giorno e ogni cinque persone infette solo due assumono i farmaci necessari.
(www.independent.co.uk)

1 dicembre 2009
In data 20 novembre i blogger (di cui abbiamo notizia) "minacciati, arrestati, fatti sparire o uccisi per aver osato alzare la voce contro la prepotenza del potere, per aver raccontato scomode verità, o semplicemente per aver lasciato che la propria opinione circolasse liberamente nella Rete” erano 191.
Sono dati di Threatened Voices, "Voci sotto Minaccia”, la nuova pagina web costola di Global Voices: una mappa globale interattiva, in costante aggiornamento, con luoghi, nomi e storie dei blogger, internauti e giornalisti di tutto il mondo che dal 2000 a oggi hanno subito o stanno tuttora subendo intimidazioni, attraverso i mezzi "soft” della censura online, quando non con gli strumenti violenti della repressione fisica...
(www.wired.it)

2 dicembre 2009. Ricordiamo Bhopal
La notte tra il 2 e il 3 dicembre 1984, a Bhopal, in India, quaranta tonnellate di gas letali fuoriuscirono dalla fabbrica di pesticidi della Union Carbide. 8000 furono i morti nell’immediato. Oggi si contano 25.000 vittime. I sopravvissuti non hanno mai ricevuto un risarcimento adeguato. Il sito non è stato bonificato e la gente continua a bere acqua contaminata.
(www.greenpeace.it)

3 dicembre 2009. Da un lettore
40 anni fa, il 15 dicembre 1969, moriva Giuseppe Pinelli.
Pensavo fosse giusto cogliere l’occasione per istituire una ricorrenza, una specie di giorno del ricordo, per ricordare ogni anno non solo Giuseppe Pinelli, ma tutti coloro che sono morti nelle prigioni o nelle questure dell’Italia democratica.
Qualcuno però mi dice che su proposta del Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, Giuseppe Pinelli diventerà una delle vittime della strage di Piazza Fontana.
Mi permetto di non condividere questa proposta, perché in questo modo tutti gli altri morti ammazzati nelle carceri o nelle questure, ultimo per ora Stefano Cucchi, saranno dimenticati, i loro assassini, qualora individuati, resteranno impuniti e i loro familiari senza alcun conforto. Non mi sembra giusto neppure per la memoria del povero Pinelli, che, noi lo sappiamo bene, non è stato vittima della strage di Piazza Fontana, ma semmai della repressione che ne è seguita, per non dire del disegno eversivo che l’ha provocata. Mi pare che il Presidente Napolitano, mosso da un eccessivo desiderio di pacificazione, ogni tanto prenda delle iniziative che non aiutano a fare chiarezza e a rendere giustizia.
(Michele Beltrami)

10 dicembre 2009. Alla luce del Pil
Il Pil, il prodotto interno lordo, da tempo soggetto a critiche per la propria inadeguatezza a misurare la "ricchezza” di un paese, risulta particolarmente poco preciso quando si tratta dei paesi dell’Africa Subsahariana. Pare che il margine di incertezza raggiunga addirittura il 30-40% sulle cifre ufficiali.
Di qui l’originale idea di tre economisti della Brown University: misurare la ricchezza di un paese dalle luci notturne registrate dal satellite. La differenza di luminosità nelle immagini raccolte da un anno all’altro permetterebbe anche di misurare la crescita economica di queste nazioni. In base a questo criterio la Repubblica Democratica del Congo avrebbe registrato una crescita economica del 2,6%.
L’illuminazione notturna di Myanmar, invece, sconfessa quell’8,6% di crescita annunciato trionfalmente dalla giunta militare.
(Le Scienze)

10 dicembre 2009. "Hopenhagen”
Pepe Escobar ha scritto per Asia Times Online (http://atimes.com) un articolo molto provocatorio e sarcastico su Copenhagen e il futuro del nostro pianeta.
"Congestionata da 1200 limousine (e solo cinque auto elettriche) e 140 jet privati riservati ai veri Vip tra i 15.000 delegati, 5000 giornalisti e 98 leader mondiali che si ingozzavano di foie gras sostenibile, Copenhagen è stata ribattezzata Hopenhagen”.
Tuttavia, secondo Escobar, in realtà c’è poco da sperare, perché il petrolio del Medio Oriente oggi alimenta quell’esercito di industrie cinesi, soprattutto nella cosiddetta "fabbrica del mondo”, il Guangdong, che produce praticamente tutto quello che il mondo consuma, e che va a finire in gran parte negli Stati Uniti. Con dinamiche anche perverse, visto che i consumatori americani acquistano tutti questi prodotti nei grandi magazzini con carte di credito sempre più prosciugate.
Comunque "mentre gli Stati Uniti sono colpiti dalla più grave crisi dell’occupazione dai tempi della Grande Depressione, la Cina avrà ancora bisogno di tutto questo petrolio per far muovere la propria economia e gli arabi avranno ancora bisogno di consumare prodotti made in China nei Wal-Mart, dove andranno a bordo dei loro Suv. I cinesi saranno gli ultimi a guastare questo equilibrio. Ridurranno zitti zitti le loro emissioni e in ogni caso continueranno a crescere del 9% annuo -secondo il famoso proverbio cinese per cui fare è meglio che parlare (shao shuo duo zuo, parla poco e fai di più)”.
Ma non finisce qui, perché grazie alla compravendita di crediti CO2 alla fine, a rientrare in scena e a vincere sarà di nuovo Wall Street che già si sta muovendo per creare un mercato delle emissioni.
Si prevede una valanga di contratti derivati e di prodotti finanziari "salvapianeta” legati allo scambio di emissioni, conclude Escobar: i cambiamenti climatici verranno presto inclusi in un nuovo mercato delle materie prime e venduti come un prodotto di investimento…
(Traduzione a cura di Manuela Vittorelli membro di Tlaxcala, rete di traduttori per la diversità linguistica)

12 dicembre 2009. Call Center
I principali gestori telefonici italiani stanno trasferendo all’estero delle attività e dei call center. Secondo i dati della Cgil, Wind nel 2010 trasferirà in Romania almeno 300-400 posti di lavoro. Intanto i dirigenti dell’azienda rumena a cui sarà appaltato il lavoro stanno formandosi nel centro di Pozzuoli. H3G (il gestore 3) già oggi avrebbe affidato in outsourcing circa 400 lavoratori ad aziende operanti a Tirana, Bucarest, Tunisi. La percentuale di lavoro appaltato aumenterà e saranno seguiti direttamente solo i clienti "a 5 stelle” (i migliori). Il gruppo Vodafone, di cui fa parte ora anche Tele2, darebbe lavoro (attraverso i suoi fornitori Comdata, Comdata Care, E-Care) a circa 300 lavoratori in Romania e sono in corso trattative per l’Albania. Per Telecom Italia una stima di massima, sempre della Cgil, identifica in almeno 500-600 i lavoratori che opereranno per Tim-119 in Tunisia, Albania, Romania, Turchia, Argentina. Fastweb ha diversi fornitori che, per i picchi di traffico, si servono di call center in Albania e Romania.
(www.zeusnews.com)

14 dicembre 2009
E’ partito ieri, domenica 13 dicembre, il primo treno che collega direttamente Belgrado a Sarajevo, rimasto fermo dalla fine della guerra in Bosnia. Il treno è partito dalla capitale serba in mattinata con a bordo solo 17 passeggeri, di cui nove diretti a Sarajevo. Il convoglio ferroviario ha solo tre vagoni, di cui uno della Republika Srpska l’altro della Federazione di BiH, mentre la Serbia ha messo a disposizione la carrozza motrice e il vagone ristorante.
(http://balcani.tv)

15 dicembre 2009. Indipendenza e prefissi telefonici
A quasi un anno di distanza dalla proclamazione dell’indipendenza, il Kosovo resta senza un proprio prefisso internazionale perché alcuni membri dell’Itu (International Telecommunication Union) non riconoscono la sua indipendenza.
Quella dei telefoni e dei tre prefissi non è una storia nuova. Il Kosovo usa tre codici, quello di Monaco (+377), della Slovenia (+386) e della Serbia (381). Da tempo chi sbarca a Pristina resta allibito davanti all’sms di benvenuto che arriva dal Principato di Monaco.
La moltiplicazione dei prefissi nasce dal fatto che a un certo punto i kosovari hanno iniziato a esprimere disappunto a dover continuare a usare il +381, il vecchio prefisso della Yugoslavia e oggi della Serbia, così per i cellulari le Nazioni Unite hanno fatto un accordo con Monaco Telekom.
E come se due prefissi non bastassero, da un paio d’anni si è affacciato sul mercato anche un competitor privato, questa volta sloveno.

16 dicembre 2009. Ammortizzatori sociali
Il 12 febbraio 2009 è stato siglato un accordo tra Governo e Regioni per estendere il sistema di copertura nei confronti di persone espulse dal mercato del lavoro che fino ad oggi non potevano accedere né all’utilizzo della cassa integrazione né all’utilizzo della mobilità.
Si tratta dei lavoratori delle piccole e medie imprese che solitamente non hanno diritto ai due ammortizzatori "classici”. E questa è una bella notizia per chi non poteva accedere a queste forme di welfare.
La notizia meno bella è che gli ammortizzatori sociali in deroga sono di "serie B” perché coprono poco, ma soprattutto male. Vediamo di capire perché: la parte di assistenza è collegata a forme di politiche del lavoro cosiddette "attive”. Per ricevere l’assistenza una persona deve cioè attivarsi frequentando corsi di formazione, orientamento o altre iniziative messe a disposizione e finanziate dalle regioni.
Di fatto, per una sorta di equivoco che nessuno vuole svelare, i lavoratori che vogliono ottenere gli ammortizzatori sono obbligati a frequentare corsi di formazione che sono una vera e propria bufala. Succede così che sindacato e impresa sollecitano le agenzie di formazione a fare corsi di inglese di 8 ore (otto ore!!!) a degli operai che non utilizzeranno mai l’inglese pur di fare ottenere loro la cassa integrazione in deroga (!!!).
L’equivoco che non può essere svelato all’Unione Europea che finanzia questa forma di welfare è che i suoi soldi vengono utilizzati per politiche del lavoro passive, cioè assistenziali, mentre dovrebbero essere stanziati per forme attive come i corsi di formazione e di orientamento professionale, stage e altri interventi che richiedono alle persone un investimento di energie e di progettualità personali.
La fine di una discriminazione fra lavoratori tutelati e lavoratori privi di paracaduti si è trasformata in una sorta di beffa che obbliga le persone a partecipare a corsi poco utili che richiedono finanziamenti che potrebbero essere spesi in modo più efficace. La nascita degli ammortizzatori sociali in deroga si è trasformata nell’affossamento delle politiche attive del lavoro. Un vero papocchio all’italiana.
(Sergio Bevilacqua)

18 dicembre 2009. La Cina e internet
D’ora in avanti un comune cittadino della Cina continentale non potrà più aprire un sito web, poiché la facoltà di registrare un dominio sarà garantita esclusivamente a società ed organizzazioni.
Stando a quanto illustrato dal centro per l’informazione cinese, il modello online per inviare la richiesta di registrazione ai provider verrà accantonato in favore di un modello compilato rigorosamente a mano. Tra i documenti che dovranno essere presentati, la licenza commerciale prevista per le aziende, ovviamente impossibile da avere per un comune cittadino. I provider coinvolti saranno semplicemente quelli autorizzati dalle autorità.
La motivazione ufficiale di questo nuovo provvedimento è sempre la stessa -la lotta alla pornografia- ma di fatto è un’ulteriore limitazione alla libertà d’espressione.
(www.blog-news.it)

19 dicembre 2009. Gaza un anno dopo
A quasi un anno dall’operazione Cast Lead (piombo fuso) riportiamo un brano uscito su Haaretz lo scorso settembre in cui Amira Hass ripercorre la tragedia che ha portato alla morte di ben 29 componenti della famiglia Samouni, tutti uccisi tra il 4 e il 5 gennaio, nei primi due giorni dell’attacco terrestre.
Shifa Ali Samouni, una vedova di 71 anni che usava un deambulatore, aveva vagato dalla casa di uno dei suoi figli a quella del figlio Talal e poi di Wael. "Nella mattinata -rievoca- ero andata in bagno quando, improvvisamente, ho sentito cadere qualcosa, una pressione all’orecchio e mi sono sentita precipitare insieme alla mia casa. Quando sono rinvenuta, mi sono resa conto del sangue che colava dalla mia mano e del sangue che usciva dalla mia gamba. Non potevo vedere altro, il mio occhio non vedeva nulla. Dopo aver osservato il mio sangue, notai mio figlio Talal, che Dio abbia misericordia di lui, sulla sedia. L’ho chiamato, ma lui non ha detto nulla. Tre dei miei figli se ne erano andati (Talal, Atiyeh e Rashad) e così pure le mogli dei miei figli e i nostri nipoti. E li abbiamo visti morire tutti, e io non potevo distinguere l’uno dall’altro, quali fossero i miei figli, quali i miei nipoti...”.
Quelli che seguono sono i nomi dei componenti della famiglia Samouni che sono stati uccisi in pochi minuti da un bombardamento delle Forze di Difesa Israeliane sulla casa nella quale erano stati ammassati il giorno prima dai soldati: Rizqa Mohammed, 55 anni; Talal Hilmi, 51; Ramha Mohammed, 46; Layla Nabiyeh, 41; Rashad Hilmi, 41; Rabab Azzat, 37; Hannan Khamis, 35; Mohammad Ibrahim, 25; Hamdi Maher, 23; Safaa Subhi, 22; Tawfiq Rashad, 21; Maha Mohammed, 20; Huda Nael, 16; Isma’il Ibrahim, 15; Rizqa Wael, 14; Is’haq Ibrahim, 13; Fares Wael, 12; Nasser Ibrahim, 5; A’zza Salah, 2; Mu’atassem Mohammed, 1 anno; Mohammed Hilmi, 6 mesi. [...]

30 dicembre 2009. Gaza Freedom March
(ore 5:00)
Cari, fra circa un’ora i due bus con 100 delegati partono per Gaza, non è certo che arriveremo, ma ciascuno di noi ha raccolto beni e fondi che le proprie delegazioni avrebbero portato a Gaza. Mi è stato chiesto di partecipare portando a Gaza la solidarietà di Action for Peace e ho accettato con difficoltà, condividendo in pieno le considerazioni del comunicato di Assopace girato poco fa. Dopo una lunga assemblea proseguita fino a notte fonda il Forum Palestina ha deciso di non inviare un delegato quindi sembra che sarò l'unica italiana. Da un certo punto di vista questi segnali fanno ben sperare, perché chi rimane al Cairo non diminuirà l’intensità della mobilitazione per poter entrare a Gaza. Parto perché gli attivisti di Gaza chiedono una delegazione internazionale che marci con loro verso Eretz, non per portare aiuti umanitari. Parto anche per costruire un altro pezzetto del ponte che Action for Peace ha messo in piedi negli ultimi anni tra Italia e Gaza. Parto sperando che nei prossimi giorni altri compagni/e della Gaza Freedom March si uniscano a noi. Dipende anche da voi in Italia, non interrompete la pressione!
Se entro a Gaza vi comunicherò immediatamente che numero di cellulare userò dentro, alla prossima mail. Martina
Nuovo messaggio (ore 11.44)
Cari, come prevedibile stanotte Code Pink si è resa conto d’aver sbagliato ad accettare un ultimatum del governo egiziano, e di aver imposto a tutte le delegazioni di scegliere una persona nel giro di 15-20 minuti. Avrebbero dovuto chiedere 24 ore di tempo per valutare la proposta ed eventualmente scegliere i delegati con criteri condivisi. Se ne scusano e sottolineano che l’unità della Freedom March è per loro essenziale. Stanotte lo steering committee della marcia ha prodotto un comunicato, disconoscendo in pratica la delegazione, ma rispettando la scelta di coloro che avessero voluto partire. A queste condizioni, dopo una rapida consultazione telefonica con altre compagne di Action for Peace, ho ovviamente deciso che non sarei salita sul bus. Dopo una lunga e dolorosa attesa, intense discussioni e drammatici ripensamenti, i due bus sono partiti con circa 50-80 persone a bordo (girano numeri diversi), di cui nessun italiano. Molti sono occidentali di origine palestinese, con parenti a Gaza che talvolta non hanno mai conosciuto, per loro è stato durissimo scegliere se partire o no. Siamo in attesa di sapere se riusciranno a passare, sinceramente me lo auguro. Ora negli hotel del Cairo si sta pianificando l’azione di domani. A presto con altre notizie. Martina
(zeitun.ning.com)

31 dicembre 2009. Morire di carcere
Post scriptum. I suicidi sono saliti a 72. Il dato è aggiornato al 30 dicembre. Il record è stato superato. (www.ristretti.it)