Per comprendere meglio i termini della vicenda che si conclude con la tragica morte della giovane maestra toscana, pare opportuno prendere le mosse dal trasferimento della collega che l’aveva preceduta nella scuola di Porciano, una frazione del comune di Lamporecchio, piccolo centro agricolo della campagna pistoiese. Dalla deliberazione del Consiglio Comunale si evince che il trasferimento della maestra Vittoria Lastrucci è motivato ufficialmente con la richiesta degli abitanti di Cecina -un’altra piccola frazione dello stesso comune- di avere una scuola funzionante e con la considerazione del piccolo numero di alunni frequentanti la scuola di Porciano che avrebbero potuto -le alunne- «profittare dell’Istituto Privato di S.E. la Principessa Rospigliosi, che è in Spicchio, in una località vicina a quella di Porciano; gli alunni, ove qualcuno vi sia, prender lezione dal Parroco locale». La causa reale al contrario, come si saprà solo alcuni anni dopo, consiste nella punizione che il sindaco intende dare all’insegnante, colpevole di non aver accettato la sua corte e di non avere ceduto alle sue richieste.
(…) Nello stesso mese viene deliberato di aprire un nuovo concorso per la scuola di Porciano, il cui bando è pubblicato alla fine di maggio. Esso informa che «l’eletta sarà sottoposta a conferma di anno in anno», essendo la scuola istituita in un centro rurale, e richiede alle aspiranti la presentazione dei documenti di rito, oltre al «certificato di idoneità a insegnare la ginnastica educativa». La domanda di Italia Donati, che consegue la patente studiando privatamente, seguita dal maestro Giuseppe Baronti, che pronuncerà l’orazione funebre sul suo cadavere, è del 23 giugno, mentre la sua «elezione» avviene, con votazione unanime, con la deliberazione del 9 agosto 1883.
Nominata nella seconda decade di settembre, Italia Donati si reca immediatamente, accompagnata dal fratello Italiano, a far visita al sindaco che, dopo averli trattenuti a pranzo, le chiede di andare a stabilirsi a casa sua. Al suo netto rifiuto il sindaco afferma allora: «Oh che siete sordomuti tutti e due? Voglio che stia qui, questa è sempre stata la scuola del sindaco e se non ci sta, sarà maestra per sei mesi e niente più». La malcapitata deve evidentemente soggiacere a tali condizioni, considerato lo stato di indigenza della sua famiglia, a cui spera di portar conforto con lo stipendio di lire 550 annue, e va ad abitare una casetta di proprietà del sindaco, a lato della sua villa. La descrizione che di quest’ultimo darà il giornalista che si interesserà del caso è particolarmente eloquente: «Raffaello Torrigiani è oggi un uomo sulla quarantina di pelo biondo, con una barbetta corta e ricciuta ed un naso adunco. Deve essere stato un bel giovanotto ed è tuttora un bell’uomo. Tutti sanno, né egli lo nasconde, che professa la religione de’ mormoni, almeno in quanto riguarda il matrimonio. Convive con due donne, la moglie che ha sposato soltanto religiosamente ed un’altra che non ha sposato, né in chiesa né al municipio, e che del resto vanno perfettamente d’accordo; entrambe hanno figli». È evidente come la presenza di una ragazza così giovane e bella -com’è definita da Carlo Paladini- nella casa del sindaco, la cui fama di «donnaiolo» è diffusa, provochi le invidie degli altri maggiorenti e la gelosia delle donne del luogo. Le dicerie non tardano a nascere, né il «primo cittadino», con la sua condotta, cerca di smentirle. Afferma invece una volta, pavoneggiandosi con gli amici: «Ho potuto darle il primo bacio ed ho gridato vittoria». Ed in numerose occasioni impone alla povera maestra di andare in carrozza con lui e la convivente, facendo così in modo che la gente la ritenesse la sua terza moglie e la oltraggiasse con epiteti poco edificanti.
Italia Donati viene a conoscenza delle maldicenze parecchio tempo dopo, più precisamente nell’agosto 1884, quando una lettera anonima la accusa di aborto e per tutelare la sua onorabilità presenta un «ricorso», tramite l’Amministrazione Comunale, al Procuratore del Re di Pistoia, che però risponde di non potere intervenire allo stato attuale dei fatti, «salvo di iniziare procedimento penale contro le persone dalle quali espone di essere stata diffamata sempre che porga regolare querela trattandosi di reato d’azione privato». La Donati non percorre questa via per ragioni di ritrosia facilmente comprensibili, e le dicerie non si placano, tanto che il 6 marzo 1885 il Consiglio Comunale ...[continua]

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