Cosa pensi dei risultati elettorali e come vedi ora la situazione, in particolare della sinistra?
Intanto non ho seguito molto la campagna elettorale, sono stato quasi sempre via. Delle cose che mi sono sembrate più importanti dell’ultimo periodo in Italia, una è quella di non aver mai sentito, in tutti gli schieramenti e in particolare, per quello che ci riguarda, della sinistra, esponenti politici di rilievo parlare della ex-Jugoslavia. Voi li avete sentiti? Può darsi che mi sia sfuggito. E non so se dire neanche se stata sia sorpresa la mia, perché in realtà immagino bene come possa succedere che un tema così dirompente, commovente, travolgente, e così degno di riflessione, non diventi centrale in persone che fanno, per mestiere, quotidianamente, politica e sono ormai abituate a ritenere che la politica sia un’attività che può fare a meno di misurarsi con i problemi veramente più importanti.
Il secondo problema, per me, era quello del modo in cui in Italia cresceva, nel bene e nel male, al di là dei propri confini, il ruolo della magistratura e, quindi, l’importanza che le azioni di giustizia hanno assunto nel regolare la storia passata di questo paese, con le acquisizioni positive, ma anche con i rischi che nel corso di questa azione sono venuti allo stato di diritto e alla mentalità comune nei confronti dello stato di diritto in Italia. Anche su questo secondo punto, che considero assolutamente essenziale, il tema, cioè, della libertà dei cittadini e dei confini di questa libertà, ritengo che quella che chiamiamo la sinistra ufficiale sia stata fortissimamente flebile, del tutto inadeguata alla portata dirompente che questa questione ha avuto in Italia da due anni e mezzo a questa parte. E che ci sia stata, quando non venata di fanatismo, di feticismo e di entusiasmo giustizialista, un’assoluta reticenza ad affrontare questa questione, una sempre più imbarazzata voglia di fare semplicemente da cauti sostenitori dell’azione della Magistratura, tanto meno sostenitori e tanto più cauti, quanto più si poneva il problema di un rischio di essere coinvolti in quella stessa azione. Anche qui, dunque, non una iniziativa, non una capacità di trattare le questioni, ma una fortissima renitenza, in qualche caso un’aperta furbizia: il peggio, cioè, che ci si possa aspettare da un gruppo dirigente.
A questo problema è per me legato un altro, che poi ne è la faccia più importante, quello della fisionomia morale e civile dell’Italia contemporanea e in particolare della generazione adulta, di quella, cioè, messa alla prova dalla caduta in disgrazia di tangentopoli, del disvelamento del regime della corruzione. Dico disvelamento perché non si trattava solo di venire a sapere cose che non si sapevano, ma di scoprire che cose a cui ci si era abituati erano molto meno abituali e accettabili di quanto credessimo. Rispetto a questa specie di tracollo, di precipitazione drammatica e anche umana della fisionomia di un intera classe civile -non solo di una classe dirigente politica, industriale, economica, amministrativa, culturale, partitica, ma forse di una grandissima parte delle generazioni mediane di questo paese- c’è stata anche qui una non disponibilità ad affrontare il problema e la prevalenza di una forte mediocrità. E la conseguenza di questo è anche il fatto che non c’è stato un effettivo ricambio di facce e di linguaggi. Ancora una volta se ci riferiamo alla sinistra la cosa è particolarmente evidente. La sinistra si è presentata alla svolta di questa scadenza, che in qualche modo doveva tirare le somme di una crisi ormai durata moltissimo tempo e in maniera così profonda, con un volto, con parole, con comportamenti profondamente conservatori e di resistenza, non di cambiamento, di promessa. Con un comportamento, insomma, non coraggioso intellettualmente e civilmente.
Infine, dal punto di vista delle cose più ravvicinate che sono successe, non credo di avere capito moltissimo, salvo cose forse ovvie. Quello che mi è sembrato di capire è che in questa specie di scelta di mediocrità, dove funziona anche un riflesso di conservazione da parte di un ceto politico molto legato al proprio potere personale -potere poi non è forse la parola giusta, anche la prosecuzione della propria professione, del proprio mestiere, del proprio stipendio, cioè cose molto umane- è successo anche che il risultato elettorale delle elezioni amministrative nelle grandi città, quelle per i sindaci, è stato larghissimamente equivo ...[continua]

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