Amato Lamberti è assessore alla normalità nella nuova giunta comunale di Napoli. L’Assessorato alla "normalità" si occupa di tutte le situazioni sociali nelle quali il rischio di infiltrazioni camorristiche è molto alto, se non già certo. Amato Lamberti, inoltre, è professore universitario, consulente della Commissione Antimafia e fondatore dell’Osservatorio contro la camorra.

La prima domanda non può che essere cos’è la camorra? Qual è la sua funzione nella società napoletana?
Per capire la funzione della camorra bisogna partire un po’ da lontano. La camorra la studio sul campo e diffido di quegli studiosi che studiano solo i libri che hanno scritto gli altri o gli atti di polizia e magistratura. Faccio il sociologo e tento di farlo a partire anche dalla conoscenza della realtà, raccolgo storie di vita per capire attraverso quali percorsi si giunge a certe situazioni.
A me una sorta di illuminazione l’ha data Vincenzo Cuoco quando apre la Storia del Regno di Napoli dicendo che non si capisce niente della nazione napoletana -questo nel 1831- se si pensa che essa sia una. Per Cuoco in realtà sono due, distanti due secoli per età e due gradi per clima. I due secoli per età riguardavano la cultura di queste due nazioni, oggi diremmo di queste società; i due gradi per clima il luogo dell’abitazione e quindi gli uni nei piani bassi, gli altri nei piani alti, gli uni nelle zone basse della città, gli altri nelle zone alte. E poi aggiunge che la prima nazione non vede neppure la seconda perché ha lo sguardo rivolto a Londra e Parigi. Tutto questo, secondo me, condensa in maniera esemplare il paradosso del Mezzogiorno: prima di tutto c’è un Mezzogiorno moderno, civile, colto, che studia, e un Mezzogiorno arretrato, due secoli indietro, con altra cultura, altro linguaggio, altre espressioni artistiche, se vogliamo. La prima società ha sempre mangiato tutte le risorse del Mezzogiorno, proprio per tenersi al passo e magari anche più in là, per coltivare i suoi studi, le sue ricerche, i suoi lussi. La seconda società è abbandonata praticamente a se stessa.
Consumando tutte le risorse, la prima società non ha lasciato niente per la seconda, che in qualche modo viveva parassitando la prima. Nel ‘600-’700 e anche nell’800 tutto ciò che si produceva nel Regno veniva speso nelle capitali: Napoli e Palermo. I grandi latifondisti, i grandi proprietari, non investivano mai nei loro territori, ma bruciavano semplicemente le risorse senza distribuirne neppure una parte.
Ad un certo punto c’è stato bisogno di un meccanismo di regolazione sociale che permettesse a questo modello dualistico di funzionare, che evitasse, per esempio, l’esplosione periodica della collera contadina e sottoproletaria e in cambio della possibilità di fare dei traffici, in cambio del controllo del rapporto città-campagna l’organizzazione criminale ha impedito di fatto la nascita di movimenti di riscatto. In questo rapporto città-campagna la camorra controllava la campagna, faceva i prezzi, poi le merci arrivavano in città e non a caso il mercato ortofrutticolo, il macello, il mercato agrario son sempre stati luoghi controllati dalla camorra. Una situazione di questo genere andava comunque a favore di chi comandava perché lo scaricava di un problema, quello di occuparsi dei ceti marginali. Questo ha condannato una realtà come Napoli e la Campania, nel senso che queste plebi non sono mai cresciute, non sono mai entrate nel circuito della modernità. Non si è mai fatto un investimento in termini di scuola, di promozione sociale, di abitazione, di orientamento verso la modernità, di diritti di cittadinanza. Sono state plebi abbandonate a se stesse e gestite da un’organizzazione criminale che era fatta dagli stessi sottoproletari, quelli più capaci, più intraprendenti e più legati a certi meccanismi, perché nelle famiglie camorristiche questi rapporti privilegiati venivano trasmessi di padre in figlio, per cui si costituivano dei nuclei in cui questo tipo di professione si tramandava da una generazione all’altra.
Se uno paragona i processi sociali di Napoli, Parigi e Londra coglie subito la differenza: una è una città in cui c’era una massa enorme di plebe senza lavoro, senza mestiere, che viveva arrangiandosi delle opportunità che una grande città mette comunque a disposizione e non vede mai alcun serio processo di industrializzazione. Le altre hanno un’analoga composizione sociale, su cui ad un certo punto si incide attraverso processi ...[continua]

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