Marco Boato, oggi ricercatore all’Università di Padova, è stato in Parlamento ininterrottamente per sette anni, per i Verdi, prima come senatore e poi come deputato. In particolare dal 92 al 94 si è dedicato alle questioni istituzionali e costituzionali e delle leggi elettorali, partecipando ai lavori della Commissione Affari Costituzionali e della Commissione Parlamentare per la riforma istituzionale.

Tu hai vissuto la crisi degli ultimi anni da un osservatorio privilegiato, quello delle riforme istituzionali. Volevamo ripercorrere un po’ la storia di tale crisi, per tentare di capire perché siamo giunti al marasma attuale.
Intanto va detto che, della crisi finale del sistema politico e istituzionale italiano, Tangentopoli è stata solo l’epifenomeno. La ragione profonda della crisi stava nel blocco, nella mancanza di alternativa in un sistema politico fondato al tempo stesso su una conventio ad excludendum e una ad includendum: esclusione della sinistra dal governo nazionale e sua inclusione in tutto il resto dell’amministrazione dello Stato. Con il crollo del Muro di Berlino e la fine della divisione in blocchi, viene meno il riferimento internazionale che legittimava il blocco del sistema politico. Ovviamente questa paralisi del ricambio aveva incentivato fenomeni di corruzione a un livello inimmaginabile anche per chi, come me, ha fatto vita politica per molti anni dentro il Parlamento, però questo, ripeto, è una conseguenza, non è la causa, come molto spesso in questo periodo si è confuso.
Ora, in questa crisi si fronteggiavano due schieramenti: da una parte il "partito del crollo", formato da forze di diverse aree politiche -Lega, Rete, Rifondazione Comunista- ma convergenti nel ritenere che bisognasse semplicemente picconare e buttar giù e che ogni tentativo di cambiamento graduale fosse non solo inutile, ma dannoso. Dall’altra parte il "partito della transizione", di coloro che, rendendosi conto della necessità di superare il vecchio sistema partitocratico e consociativo ma anche della follia, dal punto di vista di un cambio politico, di un crollo improvviso e generale, puntavano ad un processo di transizione graduale e guidata dal vecchio al nuovo attraverso una serie di tappe: il referendum elettorale, il varo successivo di una nuova legge elettorale, le riforme costituzionali e istituzionali in materia di forma di stato, di forma di governo e di garanzie istituzionali e, infine, il processo di cambiamento delle forze politiche, determinato sia dalla fine del vecchio sistema dei partiti sia dal cambiamento del sistema elettorale e costituzionale.
Tre elementi facevano pensare che ci si fosse avviati su questa seconda strada: la vittoria dei sì nel referendum, sostenuta da una maggioranza di forze politiche, alcune delle quali all’inizio alquanto scettiche che poi, per scelta o puro opportunismo, si erano accodate alla marea montante dell’opinione pubblica; l’istituzione, per la prima volta nella storia italiana con una modifica una tantum dello stesso articolo 138 della Costituzione, che è l’articolo cardine per riformare la Costituzione, di una commissione, andata sotto il nome di Commissione Bicamerale, a cui veniva attribuito il compito di disegnare la riforma costituzionale della seconda parte della Costituzione, cioè dell’ordinamento della Repubblica; l’inizio del lavoro di messa a punto della nuova legge elettorale. Questi elementi e un adeguato lasso di tempo, non anni ma alcuni mesi, avrebbero poi permesso i processi di adeguamento e cambiamento delle forze politiche.
Qual è il punto di svolta che ha bloccato e fatto fallire questo processo di transizione?
Il punto di svolta è il 29 aprile. Ricordiamoci le tappe della primavera ’93: il 18 aprile il referendum segnò anche la fine del governo Amato; si formò per la prima volta il governo Ciampi, che era un mix tra un governo in parte tecnico e in parte politico, molto aperto e potenzialmente con una grossa base parlamentare, che dal vecchio pentapartito, oramai in aperta rotta, si allargava al Pds e ai Verdi, piccola formazione, ma nuova ed estranea al vecchio sistema del pentapartito.
Io seguivo dall’ufficio di Rutelli le difficoltà spaventose che stava incontrando in quel momento il Pds nel decidere se accettare o meno, ma finalmente il governo Ciampi fu varato il 28 di aprile e il 28 sera venne annunciato che quattro ministri erano del Pds e uno dei Verdi, il che era già una svolta storica perché si legittimava per la p ...[continua]

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