Aldo Bonomi, sociologo, Filippo Bucarelli, dirigente della Funzione Pubblica e Cesare Moreno, consulente del Ministero della Pubblica Istruzione, si confrontano sulle possibili prospettive di cambiamento nell’organizzazione dei servizi dello Stato nei prossimi anni.

Bonomi. Il mio punto di vista è quello di chi sta nel sociale e vede le conseguenze della trasformazione dello stato sociale. Qui subito faccio una prima annotazione: la trasformazione dell’amministrazione pubblica, già avviata, non è ancora riuscita a entrare in comunicazione con la società che la circonda; in altre parole, ci troviamo al punto di massima estraneità tra la macchina amministrativa e il sentire collettivo. Può succedere che questa estraneità venga superata proprio con operazioni precise e puntuali, però mi pare di poter dire che sia il mondo della scuola, dove lavora Moreno, sia il mondo della pubblica amministrazione, dove è collocato Bucarelli, oggi come oggi si trovano in una fase di assoluta delegittimazione rispetto al meccanismo della fiducia.
Su questo faccio un ragionamento freddo: una grande componente del sentire collettivo odierno è il rancore che caratterizza la società italiana, un rancore che non si è ancora sedimentato, per cui c’è una grande voglia di prendersela con qualcuno. Questo avviene fondamentalmente perché sono venuti meno i grandi nemici collettivi e i grandi conflitti ed è nato un chiacchiericcio quotidiano che va a finire in rancore. Non c’è dubbio, poi, che l’obiettivo principale del rancore sia la macchina amministrativa, in particolare la scuola e la sanità. Questi sono due luoghi verso i quali sarebbe effettivamente importante avviare subito un meccanismo di fiducia.
Un secondo aspetto che mi preme puntualizzare è che attualmente si percepisce solo lo smantellamento del welfare, ossia la fine di una macchina amministrativa che aveva nel welfare e nel meccanismo di uguaglianza i suoi elementi fondanti. Si percepisce, insomma, uno smantellamento e non, invece, una modernizzazione.
Terzo dato: se dovessi dire in termini utopici quale dovrebbe essere una macchina amministrativa possibile, direi che almeno una delle cose che lo Stato dovrebbe imparare a produrre, -ed è molto difficile farlo-, dovrebbe essere l’affettività. Uso proprio questo termine estremo, perché non c’è dubbio che, oggi come oggi, in una società anomica, slabbrata e complessa come la nostra i servizi sono essenzialmente affettività: la carezza di un’infermiera all’ammalato terminale non si può produrre in base a un contratto; così come nell’affettività rientra il rapporto fra maestra e allievo, fondato sull’educare in termini maieutici, e non riesco a capire come questo possa prodursi nell’attuale sistema; ma anche non far fare la fila per ritirare la pensione, non costringere qualcuno a timbrare 10 mila volte un ticket sono modi dell’affettività. Quindi, il vero problema è come si produce affettività, in particolare per chi non ha la possibilità di comprarsela: può sembrare banale, ma prendersi in casa la cameriera filippina per assistere il padre ammalato, è uno dei modi di comprarsi affettività.
Un secondo problema, cui accenno solo di sfuggita, è rappresentato dalla pubblica amministrazione intesa come Stato centrale, organizzato per ministeri e competenze. Questi mi sembrano i due nodi importanti, ed è riflettendo su questi problemi che molti dicono di volere lo Stato “minimo”, “leggero”, “sussidiario”, -le terminologie sono tante-, ma ancora non vedo risultati o prospettive né ai bassi livelli, né ai livelli superiori della pubblica amministrazione.
Bucarelli. Ciò che ha detto Bonomi è certamente una verità ed è chiaro che, per poter parlare di un cambiamento in atto, la pubblica amministrazione deve produrre risultati e costruire un processo comunicativo perché è su queste cose che si misura il cambiamento. Io credo, però, che ci siano due punti di vista: quello dei cittadini che si aspettano molto di più, rispetto al passato, dallo Stato per tutta una serie di ragioni (perché i soldi contano molto o perché lo stato sociale si è degradato) e un punto di vista interno. Da quest’ultimo punto di osservazione credo che si vedano già dei progressi. Cerco di spiegarmi: Bonomi ha detto che la crisi dello Stato come erogatore di servizi è una crisi molto profonda, una crisi di legittimazione. E’ verissimo. Per la prima volta lo Stato inteso in senso lato, fino al Comune e alla Regione, deve dimostrare, ossia le ...[continua]

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