Flavia e Sandra Busatta, insegnanti, si occupano della società e della cultura americana, in particolare della cultura dei popoli tribali del Nord America. Dirigono la rivista Hako, incontro con le culture magico visionarie.

La bomba di Oklahoma City ha portato al centro dell’attenzione un’estrema destra antistatale che in Europa non esiste, quanto è significativa e radicata questa destra nella realtà americana?
Flavia. La destra americana ha una tradizione propria, legata alla tradizione dell’individualismo americano, e cerca di riprodurre il minuteman, il soldato della rivoluzione americana, quello che "in un minuto" era pronto per combattere gli inglesi. Questi, poi, altro non era che il frontierman, "l’uomo della frontiera", che è sempre al di là del luogo dove lo Stato può raggiungerlo ed è visto come l’anticorpo alla prepotenza dello Stato. Questa non è certo l’unica destra americana, esiste anche, ad esempio, un Partito Nazista Americano, solo che è sempre stato di una consistenza ridicola perché non ha radici nel tessuto culturale e civile americano. Il Partito Nazista Americano non fa presa perché è unamerican, è di importazione straniera, questo è il suo peccato originale, come del resto lo è per il Partito Comunista Americano. La tradizione del minuteman, comunque, viene dritta dalla gentry inglese, le “teste rotonde”, che ha fatto la rivoluzione puritana e possiede una tradizione fortemente individualistica (tradizione che a sua volta si rifà all’uomo libero sassone, il guerriero che vota nelle assemblee con la lancia), che nasce con Washington e con la guerra di indipendenza.
Dopo questa, infatti, i singoli stati, soprattutto quelli del Sud, cominciano a spaccarsi in seguito a un conflitto fra città e campagne legato alla tassazione. Le città della costa erano dalla parte del governo federale di Washington e del governo dello stato, contro i montanari e i pionieri che abitavano la frontiera e non volevano pagare le tasse per mantenere le città. Gli Stati Uniti non hanno mai risolto questo conflitto fra la libertà del singolo,inteso anche come singolo stato, e il governo federale di Washington, ossia il potere centrale. Quando negli Usa ci sono dei governi federali forti questi sono, in genere, governi democratici e il governo federale ha il suo peso, soprattutto all’interno: pensiamo al New Deal, all’era Kennedy, a Carter e, tutto sommato, anche al governo Clinton. Pensiamo, soprattutto, alla guerra civile, alla cui base fu appunto un conflitto fra governo federale e singoli stati del Sud.
Lo scontro più grosso fra la “campagna” e la città ci fu subito dopo la rivoluzione, con la “guerra del whisky”, che scoppiò in seguito all’imposizione, da parte del governo di Washington, della tassa sulla distillazione del whisky, una delle tasse più odiate mai imposte in America. Ci fu una insurrezione in tre stati, le due Caroline e la Virginia, e Washington fu costretta a mandare un esercito di 20.000 uomini che in tre battaglie campali sconfisse l’esercito dei contrabbandieri.
Inoltre, subito dopo la rivoluzione, per circa dieci anni, i singoli stati cominciarono a battere moneta propria, ad allacciare relazioni estere, ed è in questo clima che Alexander Hamilton del Federalist Party, in contrasto col democratico Thomas Jefferson, comincia a sostenere che per costruire uno stato federalista occorre un pugno di ferro notevole.
Tutto questo è abbastanza estraneo alla cultura e ai movimenti politici europei, significa che esiste una cultura tipicamente americana che non è solo una propaggine della cultura europea?
Sandra. Il non voler riconoscere che esiste una profonda specificità culturale americana è un grave errore europeo. C’è una cultura americana profondamente radicata e autonoma dall’Europa. Per capirci: i brasiliani di Valle Veneto parlano ancora un mezzo veneto dei primi del ‘900 e continuano a rifarsi a quella che, per loro, è la cultura veneta, mentre gli americani non si rifanno alla cultura europea. Soprattutto nel campo letterario esiste una differenza molto importante evidenziatasi particolarmente negli anni attorno alla prima guerra mondiale. L’ultimo scrittore “europeo” è Henry James, il quale, assieme a T. S. Eliot, ripudiò la cultura americana, in particolare quella della Nuova Inghilterra, e propugnò un ritorno non tanto alle radici europee, ma a quelle “atlantiche”, per rivitalizzare la cultura occidentale. La grande ondata degli anni ’30, quella di Steinbeck, H ...[continua]

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