Claudio Esposto, medico, vive e lavora a Roma.

Tu per un certo periodo sei stato all’accettazione al pronto soccorso in un grande ospedale romano di quartiere. Puoi raccontarci la tua esperienza?
L’accettazione è un ruolo più organizzativo che medico. L’accettazione è immediatamente dietro al pronto soccorso. Al pronto soccorso un gruppo di medici valuta i malati e decide se c’è necessità di ricovero o meno. Se decide che c’è necessità, il malato passa da me e io devo sistemarlo in un posto letto, il che spesso è un’impresa titanica.
L’ospedale di cui stiamo parlando è medio-piccolo, con 250 posti letto, in un quartiere di Roma est, fra Tuscolano e Casilino, con circa 600.000 abitanti. Sono già dati allarmanti: come primo pronto soccorso copriamo una zona vasta come Firenze che ha almeno quattro volte il numero dei nostri posti letto. Noi facciamo più di 40.000 pronto soccorso l’anno. Di questi uno su quattro viene proposto a ricovero, per cui l’anno scorso sono stati fatti 11.000 ricoveri in un ospedale in cui normalmente, in una giornata, sono disponibili per l’accettazione 15-20 posti di tutte le specializzazioni.
Naturalmente la stragrande maggioranza di questi pronto soccorso sono stupidaggini, ma fra questi ogni tanto capita un politraumatizzato, capita un paziente che ha bisogno di una Tac d’urgenza, di un neurochirurgo, cose che noi non abbiamo e per le quali non c’è neanche tanto tempo da perdere. A quel punto il mio lavoro è attaccarmi al telefono. Naturalmente essendo noi il pronto soccorso più vicino, oltre alle ambulanze che devono venire per legge nel pronto soccorso più vicino al punto in cui avviene la chiamata, c’è anche la gente che non ha urgenza, che viene con la speranza che magari quella volta si trovi il posto. In genere il nostro lavoro è quello di sistemare i malati in ogni parte della città, a volte anche fuori Roma. C’è gente che, sapendo che trasferiamo e che siamo vicini a luoghi come Frascati o Marino, ci tratta da piazzisti: “Tanto qui non c’è posto, potremmo andare a....?". E sono innumerevoli le volte che al telefono ci sentiamo dire: “Ancora voi!”.
Il dramma è soprattutto la notte perché il giorno, bene o male, i problemi si risolvono più facilmente. Il nostro è un quartiere dove ci sono tanti problemi e una delle funzioni di base che svolgiamo è quella di “ammortizzatore sociale”. Ci sono notti -e sono quelle che vanno bene- in cui ti portano quattro ubriachi che devono passare la notte e tre o quattro tossici di cui uno in overdose: a quello fai la terapia, lo lasci dormire quattro o cinque ore, alla mattina si sveglia e se ne va. Abbiamo una dotazione di 5 barelle più 2 che possiamo rimediare in giro: possiamo tenere sette malati. L’ottavo malato non si sa dove metterlo e così capita che una flebo si debba farla su una sedia. Certe volte telefono alle due di notte ai colleghi di altri ospedali che fanno accettazione e dico: “Ti prego, per l’amor del cielo se hai un buco, fammi liberare una barella”. A volte, presi dalla disperazione, ci è capitato di trattenere, per un malato grave, la barella dell’ambulanza che l’aveva portato. Una volta hanno minacciato di denunciarmi per interruzione di pubblico servizio, perché l’ambulanza non poteva più essere usata.
Poi c’è il problema della gente che si lamenta perché non capisce le precedenze. Quando vedono passare avanti quelli portati dall’ambulanza dicono: “Sto a fare la fila da molte ore, la prossima volta chiamo anch’io l’ambulanza”. La gente si fa furba in situazioni di questo genere, capisce che per farsi ricoverare lì, vicino a casa, bisogna chiamare l’ambulanza verso le sei e mezza del mattino, per piombare nel momento in cui ci sono le dimissioni.
Il peso psicologico di un lavoro simile è spaventoso e lo dico io che mi considero un mulo che corre, corre e va avanti. E’ chiaro comunque che un lavoro simile lo puoi fare solo a tempo determinato perché ne va della tua integrità
C’è stato un aumento insensato dell’uso del pronto soccorso?
Non c’è dubbio che tanta gente, se fosse seguita meglio dal medico di famiglia, potrebbe anche evitare di venire in ospedale. E infatti quando c’è un attimo di tempo in più, il problema si risolve prendendo da parte i familiari, spiegando un pochino la situazione: se è gente ragionevole, capisce. Ma è un lavoro che dovrebbe fare il medico di famiglia. E’ chiaro che per il medico di famiglia è comodo scaricare perché le urgenze danno fastidio a tutti. Se c’è qualc ...[continua]

Esegui il login per visualizzare il testo completo.

Se sei un abbonato online, clicca qui accedere, oppure vai alla pagina Abbonamenti per acquistare l'abbonamento online.
Gli abbonati alla rivista hanno diritto all'abbonamento online gratuito!