Come vivi tra le montagne del Sud Tirolo nei lunghi intervalli tra un’avventura e l’altra?
Quando sono qui, in Sud Tirolo, faccio il contadino. Ho un maso vicino al Castel Juval in Val Venosta. L’ho diviso in due, com’era in origine. Nel primo abbiamo ricostruito il vecchio vigneto. L’ho dato in affitto per quindici anni ad un contadino che ama il vino e lo sa fare molto bene, secondo le regole locali. Non essendo uno specialista, non intendo rovinarlo. Nel secondo, che sta un po’ più in alto, tengo le mucche, le pecore, le capre. Per avere tutte le costruzioni di cui ho bisogno vi ho trasportato una casetta del 1721 dalla vicina Val Senales. E’ un pezzo d’arte originale, tutto in legno, che mi serviva per chiudere il maso, per fare un borgo, perché una volta i masi di montagna erano come piccoli borghi. Il nonno e la nonna vivevano in un piccolo edificio, la giovane famiglia nella casa principale, i collaboratori in un’altra piccola costruzione. Poi c’era una stalla per le pecore, due o tre cani, una piccola piazza: una specie di fortificazione protetta. Ma è stato difficile riuscire a realizzare una cosa culturalmente tipica. Ho dovuto scontrarmi con la burocrazia locale: se avessi fatto una casa in cemento armato, non avrei avuto problemi. Invece, ti proibiscono perfino di far pascolare le pecore. Secondo loro dovrebbero rimanere chiuse in stalla ed essere alimentate con il fieno comprato da altri contadini, che usano concimi chimici. Penso che i contadini dovrebbero rinunciare a tutte le sovvenzioni pubbliche in cambio del diritto ad una totale sovranità sulla loro terra. I nostri masi più belli, quelli che hanno un valore artistico, sono nati prima dell’ingerenza urbanistica della provincia autonoma. Quelli nuovi sono brutti non perché i contadini non saprebbero farli belli, ma perché la legge li costringe a farli così. I grandi masi, i vecchi masi sono tutti stati costruiti senza architetti, senza ingegneri e senza burocrazia. Noi siamo stati intrappolati dalla burocrazia. Peggio di un carcere. Non abbiamo solo la burocrazia locale, ma anche quella italiana e dell’Unione Europea. Una burocrazia costosissima che diventa sempre più pesante e manda in crisi l’economia. Non solo da noi, ma anche in Austria ed in Germania. I sistemi di governo in Europa hanno costruito un’amministrazione che continua a crescere e prima o poi esploderà, ci sarà una rivoluzione, molti già si ribellano. Dicono: “Perché devo andare a lavorare?”. Gente che ha intelligenza, che vuole realizzarsi, che ha voglia di fare qualcosa di positivo, di non distruttivo, anche di più coerente dal punto di vista ecologico, viene intrappolata nella burocrazia. Il funzionario, specialmente quello di Bolzano, ti caccia dalla porta. Tu hai un problema, lui è pagato per aiutarti. Invece ti scarica da un ufficio all’altro. Vengono su e ti dicono: “Sei fuori regola qua, qua e qua, chiudiamo tutto”. Se un contadino oggi prende una sovvenzione di cento milioni per farsi un fienile nuovo, deve spendere più di cento milioni per la burocrazia, per gli architetti, per gli ingegneri. Così tutta la sovvenzione torna a chi gliel’ha data, indirettamente. I contadini -ripeto- dovrebbero comportarsi come i principi di una volta: rinunciare al sostegno pubblico, senza permettere ingerenze nel proprio territorio. Per un obiettivo come questo sarei disposto a guidare una marcia su Bolzano, innalzando la falce, simbolo delle antiche lotte per le libertà contadine.
Ci sono ancora i contadini di cui parli?
Naturalmente so che la cultura dei nostri contadini di montagna è cambiata. Molti vivono come in città, producono come si produce nell’industria. Ovviamente, ci sono eccezioni, però la massa produce mele, vino, latte secondo metodi industriali. Questa è una soluzione che al momento funziona, anche se non so quanto potrà durare. E’ una società molto tradizionalista e conservatrice dal punto di vista culturale, e molto moderna da quello economico. Io penso ad un altro tipo di agricoltura: ogni regione dovrebbe tornare a produrre direttamente la maggior parte di ciò che serve per alimentarsi. Il nostro latte fa dei giri che nemmeno conosciamo. Lo speck viaggia per mezza Europa prima di diventare speck sudtirolese, con un aumento vertiginoso del numero di camion che trasportano su e giù merci che potrebbero benissimo essere prodotte nelle vicinanze dei luoghi dove vengono consumate. Quarant’anni fa, quand’ero ragazzo, il contadino produceva quello che serviva: ...[continua]

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