Lucia Zanarella, insegnante, è stata fra i promotori, nel padovano, del movimento dei comitati di volontari a sostegno delle popolazioni della ex-Jugoslavia.

Il mio paese è disastrato, disastrato moralmente: non c’è nessuna attività, i ragazzi hanno solo la televisione, la parrocchia non è più un punto di riferimento, non c’è un luogo d’incontro, di ritrovo: sono isolati, allora succede quel che succede. Qui abbiamo la più alta percentuale di ragazzi morti per Aids o nel giro della droga, una cosa tragica...
Il comitato dei ragazzi è una cosa atipica, estemporanea, bella per il mio paese. Erano figli di nessuno e un giorno mi sono detta: “Non è possibile, devo fare qualcosa per questi giovani, devo ritornare al mio paese. E’ inutile che m’impegni là a difendere le falde, lì a difendere il fiume, se poi nel mio paese non faccio niente”. Allora un lunedì sono andata a cercare i ragazzi per i bar, li invitavo a riunirsi a casa mia: “Ci troviamo a mangiare, a bere un’ombra, a parlare insieme...”. Qualcuno lo conoscevo, altri no, ma a me piace fare una vita di volantinaggio nelle osterie: è l’unico posto dove mi trovo bene. Li invitavo qui a stare insieme la sera, la prima sera gli ho dato il vino e mi hanno vuotato i fiaschi, la seconda pentole di tè, qualcuno di loro portava i bagigi e per quattordici lunedì ho fatto la direttrice dei colloqui. Col pugno di ferro perché parlassero uno alla volta. E tornavano, capisci? Siamo arrivati a venticinque ragazzi, poi è nato il nome di questo gruppo, si sono chiamati “Bcm”, dai nomi dei loro paesi: Busiano, Marsiano e Campo San Martino. Sono tre estati che, in particolare quelli che non lavorano, quelli dai 13 ai 20 anni, fanno la stagione dei medicinali...

Cos’è la stagione dei medicinali? Si lavora otto ore al giorno no stop in una scuola per sistemare i medicinali, si mangia un panino e loro non conoscono sosta, ma se i genitori li vogliono tenere a casa, scappano. Lavorano con una serietà di cui non hai idea, una cosa magica. Prima i medicinali vanno raccolti dai medici, e dai farmacisti, si deve fare il giro. Poi si fa la raccolta nelle case, perché ti resta sempre in casa una scatola nuova di medicinali. Così raccogliamo quintali e quintali di medicinali, abbiamo riempito un pullman di medicinali, 18 quintali erano solo di medicine, 30 quintali il pullman, 18 di medicinali, la maggior parte raccolti, pochi comprati. E non ti dico il lavoro dei medicinali: primo lavoro vedere le scadenze, tirare via gli scaduti, poi si dividono tutti in ordine alfabetico, poi viene il medico o il farmacista, -volontari, basta una telefonata e vengono-, per dividere antibiotici, respiratorii, tutte le categorie dei farmaci. Una volta fatto questo, bisogna fare un altro travaso: si rimettono tutti su un grande tavolo in ordine alfabetico e si procede al doppiaggio, perché molti sono “campioni”, e tu non puoi portare là 5.000 scatolette con due sole pasticche dentro. E’ un lavoro di grande concentrazione, perché devi controllare se hanno la stessa posologia, la stessa scadenza e metterli nella stessa scatola doppi, tripli, così con dieci scatole ne riempi una, in modo da avere meno volume e mandare là scatole piene, non semivuote.
Poi, una volta sistemati per bene, viene il medico dell’Usl a stilare il certificato regolare, affinché non ci siano psicofarmaci, nel rispetto delle leggi; a quel punto si chiudono gli scatoloni e si riordina il posto dove si è lavorato. C’erano da dieci a trenta ragazzi ogni giorno; insomma una cinquantina hanno girato, non solo del paese. Così si creano amicizie, si ritessono i giri, si ritrova il gusto di fare qualcosa.
Per loro è stato importantissimo andare in Slovenia, in un campo profughi bosniaco. Sono tornati cambiati, più consapevoli, e tutti con l’idea di ritornarci. Si sono divertiti facendo una cosa bella, si sono sentiti utili. C’era ovviamente il problema della lingua: i bosniaci conoscono l’inglese, noi sappiamo il veneto bene, un po’ l’italiano... ma si riusciva a comunicare. Quando ci siamo incontrati abbiamo riempito una mezza corriera, le ragazze bosniache hanno chiesto i maschi italiani, si sono scambiati i doni, le cinture, tutto quello che avevano. Abbiamo girato per il parco, visitato le grotte di Villanizza e loro hanno pagato per noi. Pensa, i ragazzi profughi che non hanno una lira, hanno fatto una colletta per pagarci l’ingresso, a noi e ai ragazzi italiani, per entrare alle grotte. Volevano sentirsi pari a n ...[continua]

Esegui il login per visualizzare il testo completo.

Se sei un abbonato online, clicca qui accedere, oppure vai alla pagina Abbonamenti per acquistare l'abbonamento online.
Gli abbonati alla rivista hanno diritto all'abbonamento online gratuito!