Giuseppe Biasco, sindacalista, ha fatto parte della segreteria regionale della Uil-Campania.

Quando si parla del sud, si parla sempre di disoccupazione crescente, di gap crescente con il nord, addirittura di sacche di povertà, mentre, contemporaneamente, si fa riferimento a una ripresa, a situazioni di sviluppo. Puoi descriverci a grandi linee la situazione reale del sud?
Direi che nel Mezzogiorno, a partire dal dopoguerra, si sono venute sviluppando grandi aree metropolitane a fortissima conurbazione e terziarizzazione, che, sicuramente, assomigliano molto alle conurbazioni delle grandi realtà europee, avendo, però, tutti i problemi e le contraddizioni delle realtà urbane del Terzo Mondo. Sono realtà metropolitane dentro le quali si è sviluppato moltissimo il settore dell’edilizia, con tutto quello che ad esso è collegato: speculazioni sulle aree fabbricabili, cambiamento delle destinazioni d’uso dei suoli, problemi ambientali gravissimi. A ciò si deve aggiungere, in vastissime aree del Meridione, un’industrializzazione completamente fallita che ha lasciato dietro di sé la distruzione di intere zone agricole con un’erosione costante e continua della ricchezza agricola, delle acque, dei fiumi. La distruzione del territorio, il consumo del territorio, sono stati enormi. E’ così che un territorio bello di per sé, con un clima accettabile, un ambiente ricchissimo di una fauna e una flora estremamente variegate, è divenuto la risorsa cui tutti hanno attinto nel modo più sconsiderato. Per esempio, chiunque, storicamente, abbia progettato qualcosa a Napoli, ha progettato sempre costruzione di case, abbattimenti di alberi, ristrutturazioni urbanistiche che allontanassero i poveri dal centro cittadino per ammassarli in quartieri dormitorio alle periferie. Questo è il quadro a grandissime linee.
Ora, la questione della povertà riguarda il sud come tutte le grandi realtà del degrado, della disperazione nelle grandi realtà urbane, dove lo sviluppo convive con l’assoluta mancanza di una qualsivoglia solidarietà sociale. Tutto questo si è accompagnato alla distorsione della vita di masse di persone che si sono dedicate ad attività illegali, semi-legali, clandestine o delinquenziali. Ma, per quanto strano possa sembrare, contemporaneamente nel Meridione abbiamo zone a grandissimo sviluppo economico: tutta la piana pugliese per l’agricoltura, ad esempio, come alcune zone del salernitano. La stessa realtà provinciale napoletana è estremamente contraddittoria: a Napoli passi dalla realtà disumana della 167 di Secondigliano, che è un quartiere estremamente a rischio dal punto di vista dei minori, delle donne, degli anziani, della delinquenza organizzata e quant’altro, a realtà ricchissime e terziarizzate, come San Giuseppe Vesuviano, che sono addirittura leader in una serie di attività commerciali e produttive, quali, ad esempio, i blue-jeans oppure come Arzano e Casoria, dove ci sono aziende leader nel settore delle scarpe, e così via. Insomma, abbiamo realtà produttive che possono misurarsi benissimo con livelli internazionali accanto ad altre realtà che sono veramente degradate. E’ uno sviluppo a macchia di leopardo.
Quindi, la situazione non è disastrosa...
Diciamo che nel Meridione, volendo parlare in termini puramente economici, ogni persona concorre per 70 unità di valore al prodotto interno lordo italiano. Ora, devi immaginarti che il valore medio europeo è 100-101, il massimo di valore pro-capite per uno Stato nella sua completezza è quello della Danimarca, che è 125, mentre la Germania ha 110. Dentro la realtà italiana, la realtà della Lombardia è ben 137; questo vuol dire che la Lombardia è una realtà regionale che è al di sopra di ben 30 punti della media europea, ed è al di sopra anche del paese che ha il massimo del valore. Allora, quando noi misuriamo la realtà del Meridione con la realtà della Lombardia, la distanza è del doppio, due a uno, e risulta perciò incolmabile. Non raggiungi chi va a 200 chilometri all’ora se vai a 150.
Detto ciò, va anche riconosciuto che 70 è una buona media di partenza per raggiungere la media europea.
Se noi potessimo avere un piano politico generale, un’efficienza della macchina pubblica, vale a dire la funzionalità di regioni, provincie e comuni, se buona parte dell’imprenditoria del Meridione fosse convinta del ruolo dell’impresa nel vero senso della parola, che è di sfida e di rischio economico, non mirando solamente ad essere assistita com’è successo ...[continua]

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