Sergio Bevilacqua si occupa di politiche del lavoro, svolge attività di counselling professionale ed è stato per molti anni un lavoratore autonomo. Pietro Lembi, architetto, si occupa di politiche urbane e sociali e collabora con il Laboratorio di Politiche Sociali del Politecnico di Milano. Il confronto che segue è stato raccolto nell’ambito di una ricerca sul nuovo lavoro autonomo condotta dal Laboratorio di Politiche Sociali (coordinato da Costanzo Ranci) assieme all’Osservatorio sui Ceti Medi coordinato da Arnaldo Bagnasco.

Pietro Lembi. In questi anni abbiamo condotto una serie di indagini sui fattori di rischio e sulla vulnerabilità; abbiamo studiato il modo in cui abitazione, cura, lavoro, regolazione e protezione sociale si intrecciano e influiscono nelle vite di tipologie familiari diverse: coppie bilavoro con figli piccoli, famiglie con anziani a carico, famiglie con sfratto in quartieri degradati. Ecco, quello che emerge è che la vulnerabilità non riguarda i cosiddetti “ultimi”, il disagio estremo, ma una parte consistente della società che oggi sembra presentarsi più fragile ed esposta a fattori di rischio.
Abbiamo allora deciso di interrogarci sulle “Partite Iva”, per vedere chi sono, quali valori hanno, che tipo di protezioni ricevono dallo stato, che tipo di protezioni vogliono o non vogliono, come sono rappresentate, ecc.
Sono una parte consistente di lavoratori finora quasi per nulla presi in considerazione dalla sociologia, così come dai sindacati e da altri organismi di rappresentanza.
Generalmente le rilevazioni ufficiali dividono tra lavoratori dipendenti e indipendenti, e questi sono suddivisi tra imprenditori, liberi professionisti, lavoratori autonomi o “in proprio” e, da alcuni anni, lavoratori a progetto. Ma sappiamo che il nostro oggetto è in parte trasversale a queste definizioni.
Sergio Bevilacqua. Le forme di lavoro che escono da questo rigidissimo schema non sono visibili.
Pietro. Studiando la letteratura e le banche dati, mi sono reso conto che l’oggetto rimane molto sfuggente, e cambia anche radicalmente a seconda del punto di vista da cui lo si guarda. Aiutami ad inquadrare il problema dal tuo punto di vista, a definire l’oggetto.
Mi chiedo per esempio quale sia il confine tra l’informatico co.co.pro. e l’informatico che apre la partita Iva, oppure quello che decide anche di iscriversi alla Camera di Commercio e magari ha pure due o tre persone che lavorano per lui.
Sergio. La mia risposta implica un passaggio culturale, la sociologia se vuole districarsi in questa situazione complessa deve confrontarsi con altre discipline. Su questi temi o si ha un approccio diverso dal passato o si rimane imbrigliati nella rigidità. Provo a spiegarmi facendoti un esempio: sai com’era considerato un lavoratore in cassaintegrazione dall’Istat fino a poco tempo fa? Forza lavoro dipendente. Un disoccupato a tutti gli effetti viene considerato dipendente e qual è il motivo di questa strana scelta? Perché risulta ancora in organico all’azienda. Penso che per comprendere e agire sulla realtà si debbano scardinare queste categorie concettuali. La sociologia questo passaggio poderoso l’ha già fatto negli anni ’70, l’hanno fatto Frey, Sylos Labini, Massimo Paci rivisitando le rappresentazioni delle classi sociali. Hanno incominciato a studiare la forza lavoro nascosta, quella che sarebbe andata a lavorare e che l’Istat non considerava col risultato ultimo di abbassare il numero dei disoccupati presenti nel nostro paese. Si sono fatti veri e propri scandagliamenti di un mondo sconosciuto, che stentava ad emergere e che non trovava alcuna forma di rappresentazione culturale e anche politica. Per fare questo è stato necessario definire un approccio culturale basato su riferimenti concettuali che semplicemente non c’erano.
Penso che la situazione presenti molte analogie: o ci dotiamo di altre categorie concettuali o certi fenomeni sociali non li vediamo, con il rischio di fare come fa la Cgil, che identifica certe fette di società, come appunto i professionisti delle partite Iva, con gli autonomi, nei confronti dei quali c’è un’unica logora categoria: evasori cioè avversari dei lavoratori dipendenti.
Per cambiare questo approccio limitato e riduttivo penso sia necessario un approccio interdisciplinare, in cui la psicologia dialoghi con la sociologia, l’economia con la sociologia. Bisogna riuscire ad evidenziare quali sono i legami tra economia, sociologia e psicologia.
Se ...[continua]

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