Della Passarelli è presidente della casa editrice Sinnos (www.sinnoseditrice.com), che recentemente ha ricevuto il Premio Andersen per la ricchezza e il coraggio del progetto.

Dove nasce l’idea di una casa editrice?
Sono state due le strade che mi hanno condotto qui: l’impegno politico e la passione per il teatro.
Tra l’84 e il ‘93 lavoravo al Gruppo parlamentare di Democrazia Proletaria e ci occupavamo anche di problemi di detenzione, degli stranieri in particolare; era nata un’associazione, Cidsi (Centro di informazione per Detenuti Stranieri in Italia) composta da detenuti e da volontari, che volevamo seguire perché la detenzione degli immigrati era un fenomeno allora nuovo che desideravamo capire e quell’esperienza sembrava interessante. Così Dp mi diede l’incarico di seguire questo lavoro, insieme ad altre questioni specifiche, come l’indulto per i detenuti politici.
Nello stesso periodo -premetto che io mi sono laureata in Storia del teatro- ero stata invitata ad uno spettacolo nel carcere penale di Rebibbia. Era un’Antigone: rimasi colpita dalla forza di questi attori assolutamente non professionisti e sentii che lì il teatro poteva essere uno strumento importante; così, oltre che collaborare col Cidsi, cominciai ad insegnare in un corso di teatro legato all’università.
Dedicando sempre più tempo al carcere (passavo lì gran parte dei miei fine settimana), si sono stabiliti dei veri e propri rapporti di amicizia con i detenuti. Alcuni di loro avevano fatto un corso di videoimpaginazione per l’editoria che era stato finanziato dalla Regione Lazio e decisero di creare una cooperativa che avrebbe dovuto offrire servizi ad altri editori, come impaginare, curare la grafica, pur essendo essa stessa una casa editrice. A quel punto (siamo nel ’90) abbiamo fondato la Sinnos: sono andata io con altri volontari da un notaio perché ovviamente i ragazzi non potevano farlo.
Dopodiché ho detto ad Antonio Spinelli, il vero fondatore di questa cooperativa -e che purtroppo non c’è più- che per me comunque erano dei pazzi, perché fare dei libri dal carcere, per ragazzi, mi sembrava una vera follia.
Nei primi tre anni li ho visti crescere e li ho sostenuti dall’esterno. Alla fine mi hanno convinto a entrare in cooperativa e nel ’94 ne sono diventata presidente: sono rimasta intrappolata perché avevo scritto una storia per ragazzi che era stata premiata, Antonio l’aveva voluta pubblicare e a quel punto…
Sinnos vuol dire “segni”. L’idea è venuta a un detenuto sardo, noi cercavamo un nome che fosse evocativo, che desse il senso del segno, della lingua e sinnos significa “segni” in sardo.
Perché avete scelto la forma della cooperativa?
Soprattutto Antonio e altri volontari, tra cui Elisa, la nostra vicepresidente, come pure alcuni ragazzi (che ora sono andati a lavorare in altri settori o sono tornati nel loro paese perché erano immigrati) desideravano creare una struttura in cui tutti quanti avessimo il nostro ruolo e potessimo decidere, una struttura che avesse come obiettivo il reinserimento dei detenuti; in particolare una cooperativa cosiddetta di tipo B, poiché ci occupiamo del reinserimento di soggetti svantaggiati e ci impegniamo a riconvertire gli utili in altre possibilità di lavoro.
Ciò che mi rende abbastanza orgogliosa di Sinnos è che è riuscita a mantenere realmente questa struttura: noi prendiamo le decisioni generalmente insieme, anche discutendo animatamente e in questi 17 anni siamo riusciti a reinserire una decina di soggetti cosiddetti svantaggiati (alcuni si sono fermati, altri sono andati via), ma soprattutto Sinnos ha dato lavoro a tanti “liberi”. Noi abbiamo grafici, impaginatori, gli stessi nostri autori sono persone che non hanno nulla a che vedere con il carcere. Questa scelta di uscire all’esterno credo sia stata importante, perché resta un’iniziativa nata in carcere e però guarda oltre.
Qual è stato il percorso di Sinnos?
La primissima tappa è stata la collana i Mappamondi. Il primo presidente di Sinnos, Paolo Traniello, docente di Biblioteconomia all’Università Roma Tre, conosceva un maestro elementare, Vinicio Ongini (oggi esperto di intercultura per il Ministero della Pubblica Istruzione). Ebbene, Vinicio aveva un bambino filippino nella sua classe e, anche alla luce dell’esperienza francese, si era reso conto che presto anche in Italia sarebbero arrivati bambini stranieri per cui ci sarebbe stato bisogno di libri scritti nelle loro lingue. Così sono nati i Mappam ...[continua]

Esegui il login per visualizzare il testo completo.

Se sei un abbonato online, clicca qui accedere, oppure vai alla pagina Abbonamenti per acquistare l'abbonamento online.
Gli abbonati alla rivista hanno diritto all'abbonamento online gratuito!