Giuseppe Turrini è presidente della cooperativa sociale Azalea di Verona.

Com’è nata l’esperienza del Gran Can e Delle Salette, i due alberghi nei quali ospitate pazienti psichiatrici?
E’ nata da una pensata strana. Da una parte ci siamo resi conto, facendo assistenza domiciliare, che i pazienti erano di fatto ospedalizzati solo perché non avevano un luogo dove stare. Si trattava di persone con un alto livello di cronicità, non autosufficienti, quelle definite "residuo manicomiale”, che pur non essendo dentro un episodio acuto vivevano comunque in ospedale o in strutture molto simili. Ed è certo che l’istituzionalizzazione, pur con le migliori intenzioni, non fa stare bene le persone. Dall’altra parte sapevamo che nel nostro territorio c’erano alcuni alberghi relativamente piccoli che versavano in difficoltà economiche. Perché un albergo piccolo, se vuole campare, dev’essere un quattro stelle.
E’ stato così che ci è venuto in mente di utilizzare l’albergo come possibile strumento terapeutico. E abbiamo rilevato prima il Gran Can, nel ’97, poi Le Salette nel 2000, mantenendo la loro destinazione d’uso di albergo e trattoria.
Devo dire che i risultati ci hanno dato ragione, stando ai dati che abbiamo raccolto e alle verifiche che abbiamo fatto. Abbiamo utilizzato due criteri abbastanza semplici, di tipo quantitativo, ma che riescono anche a dare l’idea della qualità del lavoro. Il primo sono le giornate di ricovero: mediamente nelle strutture psichiatriche cosiddette normali, tra virgolette, un paziente ha circa 15/20/25 giornate all’anno di ospedalizzazione in reparto di Diagnosi e Cura (l’ospedalizzazione è la soluzione estrema, adottata quando il paziente è in fase acuta e ha bisogno di maggior contenimento). Nel nostro caso la media è scesa a due giorni e mezzo all’anno. Il secondo dato è la "terapia al bisogno”. Ogni paziente ha la sua terapia farmacologica giornaliera, dopodiché ha la terapia al bisogno, solitamente consistente in ansiolitici e sedativi, che costituisce un po’ l’indicatore della sua condizione psichica: "Oggi sto male, aumentami la terapia per sedarmi”. Anche in questo caso, per i pazienti inseriti nelle nostre due strutture, chi dopo un mese chi dopo due, comunque in un tempo relativamente breve, la richiesta o la necessità di terapia al bisogno si è pressoché azzerata.
Scendendo poi nel concreto, nella quotidianità, ci sono mille episodi che ci fanno dire che questa cosa funziona, perché ha a che fare non tanto con la guarigione quanto col benessere e la qualità della vita. Non è tanto un discorso di: "Ti curo, ti rendo autonomo, ti faccio diventare come uno di noi”; per carità se è possibile si fa, non è che si rinuncia alla dimensione riabilitativa, al tentativo di raggiungere un grado più elevato di autonomia. Se però non riesci a raggiungere quell’obiettivo, faccio comunque sì che tu stia bene, che il mondo ti accolga così come sei e ti permetta di star dentro a un contesto di vita normale.
Ti faccio qualche esempio. Qualche tempo fa un paziente ospite delle Salette, uno dei più tosti in assoluto, conosciuto dai Servizi da 40 anni, è morto d’infarto. Ebbene, abbiamo saputo che la Fumanese, la squadra di calcio locale, la domenica successiva, ha fatto un minuto di silenzio prima della partita, per ricordarlo. Cos’era successo? Che questo paziente, in completa autonomia, si era legato al club della Fumanese -noi non ne sapevamo nulla, non faceva parte di un nostro progetto riabilitativo.
Ma è una cosa che è potuta accadere proprio perché abbiamo portato le persone a vivere in piazza. Le Salette infatti è proprio al centro del paese, nella piazza principale di Fumane, tra il municipio e la chiesa. Questo per dire le dinamiche che possono scatenarsi dal fatto di inserire una comunità dentro un’altra comunità, di tenerla dentro invece di escluderla.
Come sono strutturati gli alberghi? E i pazienti che vita fanno?
Le Salette è una piccola struttura ricettiva e ristorativa, con una sala da pranzo da quaranta posti; poi ci sono il bar e una quindicina di stanze, per 32 posti letto complessivi. A noi stava bene proprio che fosse così piccolo perché ha più a che fare con la dimensione del territorio. I pazienti psichiatrici sono dodici mentre le altre stanze vengono affittate ai clienti, per i quali funziona come albergo a tutti gli effetti.
I pazienti fanno vita d’albergo; vivono in paese semplicemente. Non gli si fa fare nient’altro. Il cliente d’alber ...[continua]

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