Emanuele Maspoli, operatore culturale, formatore all’educazione alla pace, interculturalità e gestione delle dinamiche di gruppo, nel 1997 ha fondato, nell’isola di Sant’ Erasmo (Venezia), il centro culturale di vacanza "Il lato azzurro” ed è presidente dell’associazione MuraNo. Ha pubblicato il volume La loro terra è rossa. Esperienze di migranti marocchini, Ananke 2004. Susanna Rossetto, imprenditrice del vetro di Murano, e Patrizia Zanella, infermiera e istruttrice di canoa, hanno in affido un ragazzo afgano e sono volontarie di MuraNo; Anna Paganotto e Marika Manfrinato, della cooperativa "elleuno” seguono i minori stranieri non accompagnati e richiedenti protezione internazionale nei percorsi di affido.

Che cos’è l’associazione MuraNo e com’è avvenuto l’incontro con i minori stranieri non accompagnati?
Emanuele. MuraNo è un’associazione relativamente giovane, che ha iniziato ad operare sul territorio di Murano, di Sant’ Erasmo e di Venezia per motivi di solidarietà sociale, con l’obiettivo di promuovere un ideale di nonviolenza e di diffondere alcune buone pratiche solidali, anche a livello di cooperazione internazionale.
L’incontro con i minori stranieri non accompagnati è avvenuto nel 2006, un po’ per caso. Facendo il tirocinio al Ctp, il Centro Territoriale per l’insegnamento dell’italiano, ho conosciuto dei ragazzi afgani e abbiamo stretto amicizia, tanto che alla fine due di loro sono diventati dipendenti del Lato azzurro, il centro culturale e di vacanza che ho fondato e gestisco, un albergo alternativo che è nato per valorizzare il territorio lagunare e insieme per promuovere l’apertura e il dialogo con le altre culture.
A quel punto, un po’ come Lato azzurro e anche a livello personale, ho pensato di organizzare qualcosa, così abbiamo preso contatto con gli educatori del Buon Pastore, un ente privato che ha delle comunità a Venezia. E’ nato con MuraNo così il progetto "Padri”, acronimo di Progetto di Adozione a Distanza Ravvicinata e a dicembre del 2006 abbiamo invitato alcune famiglie e i ragazzi della comunità del Buon Pastore "Hindu Kush” per trascorrere un Natale diverso, qui al Lato Azzurro, perché comunque Sant’Erasmo è un po’ come andare in vacanza per i veneziani, c’è la campagna e non è conosciuta da tutti. Il Natale, per questi ragazzi senza famiglia, è una giornata che rischia di essere triste, perché tutti gli altri -volenti o nolenti- lo festeggiano in quanto fa parte della nostra cultura. Insomma l’idea era quella intanto di riempirgli una festa che rischiavano di trascorrere in solitudine, ma anche di offrire l’opportunità di un contatto con degli adulti, che avrebbero poi dovuto gestirsi da soli, trovando i modi e i tempi di frequentarsi. L’obiettivo era di escogitare degli espedienti per fare uscire questi ragazzi dall’ambito della comunità che alcuni sentono stretta, perché è un territorio troppo organizzato che li tratta come bambini, mentre loro hanno già esperienze da adulti e sono venuti qui alla ricerca di libertà. In queste comunità non manca nulla e comunque i ragazzi hanno la possibilità di andare a scuola, nei Centri Territoriali, nei patronati. Però alla fine, per tanti motivi, restano abbastanza vincolati all’ambito della comunità, hanno pochi contatti con l’esterno, che invece sono fondamentali per la loro successiva integrazione, una volta compiuti i 18 anni. La legge italiana infatti prevede che con la maggiore età questi ragazzi escano dalle comunità e quindi anche da una situazione di tutela.
Il nostro progetto di incontro tra ragazzi e famiglie non è stato così eccezionale: in alcuni casi non c’è stato alcun seguito, perché magari l’adulto si era sentito forzato in questa scelta, non era così convinto, o lo stesso minore non era assolutamente interessato a incontrare quell’adulto, o un adulto in generale, avendo già i suoi percorsi.
In altri casi invece è andata molto bene. Susanna, ad esempio, dopo aver incontrato e conosciuto un ragazzino afgano, ha intrapreso un vero e proprio percorso di affido, con una presa di responsabilità diretta. Una situazione più impegnativa di quella che avevamo previsto, che era una sorta di adozione a distanza, che lasciava la gestione del ragazzino in capo ai tutori e agli educatori.
Questo progetto ha rafforzato anche l’associazione e ci ha dato nuovi stimoli. Abbiamo intensificato i rapporti con le comunità che ospitano questi ragazzi, organizzando non solo corsi di italiano, ma anche momenti di festa, ci ...[continua]

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