Arianna Visentini è titolare della società di consulenze Variazioni Srl. Da anni si occupa di supportare le aziende e gli enti locali nella progettazione e realizzazione di misure in favore della conciliazione famiglia-lavoro e in particolare dell’articolo 9 della legge 53 del 2000.

A Mantova negli ultimi anni diverse aziende, avvalendosi anche dell’art.9 della legge 53 del 2000, hanno avviato esperienze di conciliazione famiglia-lavoro. Puoi intanto spiegare cosa sancisce questa legge e perché è così importante?
La legge 53 è stata promulgata nel 2000 dall’allora Ministero del lavoro e delle politiche sociali e si occupa di "Disposizioni per il sostegno della maternità e della paternità, per il diritto alla cura e alla formazione e per il coordinamento dei tempi delle città”.
L’art. 9, nello specifico, prevede la messa a disposizione di quelle risorse finanziarie, a fondo perduto, che devono consentire alle aziende, quindi a soggetti privati, di implementare interventi nell’ambito dell’organizzazione del lavoro, della formazione e dei servizi. Per organizzazione del lavoro intendiamo la gestione dei tempi e dei luoghi di lavoro, quindi azioni che vanno verso la riduzione dell’orario, introduzione di misure di flessibilità per i dipendenti con esigenze di conciliazione, e poi ancora banca del tempo, banche delle ore, gruppi di lavoro, telelavoro, job sharing. Questo rispetto all’organizzazione.
La seconda area trova applicazione innanzitutto nella formazione dei dipendenti al rientro da un congedo di maternità o di paternità al fine di ridimensionare i gap che si producono in seguito alla lunga assenza.
L’art. 9 della legge 53 del 2000, in realtà, ha avuto varie vicissitudini, ha faticato moltissimo a decollare, perché la maggior parte delle aziende italiane non è molto lungimirante e spesso difetta della preparazione, anche culturale, necessaria a recepire e dare concretezza a una norma che comunque è complessa, sia nella forma che nei contenuti. E tuttavia quell’articolo è stato sicuramente la leva che ha consentito al territorio di attivarsi. In due anni, fino a quando lo strumento ha subito uno rallentamento, un blocco -speriamo transitorio- Mantova è riuscita a candidare una trentina di progetti, ventisei dei quali sono stati approvati per circa due milioni di euro di risorse impegnate per le aziende mantovane.
L’impatto è stato forte, anche a livello di comunicazione, di visibilità, si è innescato un processo virtuoso anche di concorrenza sui temi del welfare aziendale. Tant’è che, nonostante lo strumento sia bloccato, ben tre aziende recentemente hanno avviato un servizio di nido senza finanziamenti pubblici.
Negli ultimi mesi poi ci sono stati alcuni segnali, anche concreti, che fanno ben sperare. Il 29 aprile 2010 la Conferenza unificata Stato-Regioni ha approvato il Piano di conciliazione famiglia-lavoro, il cosiddetto Piano Carfagna, che prevede un finanziamento pari a 40 milioni di euro. Infine, proprio a Mantova, lo scorso 29 novembre, è stato siglato il primo accordo regionale di Collaborazione territoriale sulle politiche di conciliazione famiglia-lavoro, primo passo verso l’attuazione degli interventi previsti dall’Intesa Stato-Regioni di aprile.
Quali sono le iniziative concrete che le aziende hanno adottato per promuovere la conciliazione famiglia-lavoro?
Il caso più noto è quello della Lubiam S.p.A, impresa tessile storica di Mantova, perché è stato il primo e quindi avuto un certo clamore. Le misure sono state innanzitutto la concessione del part-time. Sembrerebbe una banalità, in realtà erano alcuni anni che l’azienda faceva molto fatica a concederlo. Qui come altrove, gran parte dei part-time erano stati concessi negli anni ‘80 e ‘90, in fasi economiche di crescita, ma soprattutto erano stati concessi a tempo indeterminato.
D’altronde all’epoca il modello familiare era legato alla cosiddetta figura del male bread winner, per cui il padre di famiglia era il vero percettore del reddito e la moglie integrava. Le aziende avevano quindi esaurito, ai sensi della legislazione dei contratti nazionali vigenti, il numero di posti che erano tenute a concedere per il part-time. Così, anche se le persone alle quali l’avevano concesso non ne avevano più una necessità stringente, perché magari avevano i figli grandi, chi aveva i bimbi piccoli non riusciva più ad ottenerlo.
L’art. 9, in questi casi, ha contribuito a riavviare un meccanismo di rotazione. Contemporaneamente, n ...[continua]

Esegui il login per visualizzare il testo completo.

Se sei un abbonato online, clicca qui accedere, oppure vai alla pagina Abbonamenti per acquistare l'abbonamento online.
Gli abbonati alla rivista hanno diritto all'abbonamento online gratuito!