Silvana Ceruti, da 15 anni organizza laboratori di poesia nel carcere di Opera, Milano.

Da una decina d’anni tutti i sabati entri nel carcere di Opera per animare dei laboratori di scrittura. Puoi raccontare?
L’occasione si è presentata quando, dopo una lunga esperienza di "formazione formatori” nell’ambito della scuola, mi è stato proposto di tenere un laboratorio sulla lettura nel carcere di Opera. Si trattava di cinque incontri nell’arco di circa due mesi e, quando la direzione del carcere diffuse la notizia, si presentarono una quindicina di detenuti.
Opera è un carcere enorme e molto chiuso, (c’è anche il settore del 41bis), ospita circa 1.400 uomini che hanno già avuto un grado di giudizio. Essendo stato costruito per 800 persone, è spaventosamente sovraffollato e quindi alla reclusione si aggiunge la pena di una condivisione degli spazi più o meno forzata.
Dall’esterno è come un’enorme scatola grigia, piatta, può far pensare alla carne in scatola, con tutti questi uomini rinchiusi dentro.
C’è anche da dire che quasi tutte le attività proposte nascono dall’iniziativa di singole persone prevalentemente volontarie.
L’inizio ovviamente non fu facile. Mi misero sotto esame, mi chiesero chi ero, che mestiere facevo, che cosa pensavo di loro. Era un modo per mettermi alla prova e vedere quanto buonismo avrei tirato fuori. Spiegai loro che, oltre ad essere un lavoro (in quel momento era un incarico a pagamento) ero contenta di avere questa opportunità d’incontro. Dopodiché chiesi io a loro che cosa pensassero di me, e questo li fece molto ridere perché non si aspettavano che mi preoccupassi del loro giudizio. Forse fu proprio quella domanda a porre le basi per stringere un patto tra di noi. Non ero lì per "rieducarli”, ma per incontrarli.
Comunque, alla fine di questa prima esperienza, tra i detenuti che avevano partecipato agli incontri era nata una bella relazione di gruppo, ci si sentiva come in famiglia. Era una piccola oasi di libertà. Mi dicevano: "Ho rimesso in moto il cervello, il pensiero; sono uscito dal solito tormentone pena-delitto, delitto-pena, avvocati, processi…. Qui parliamo di tutto come le persone libere”.
A un certo punto era sorto anche un moto di delusione: "Quando finirà il tuo incarico retribuito, non verrai più” . Risposi di no, spiegai loro che mi trovavo bene e che anche per me quelle ore erano un momento di libertà, per quanto potesse sembrare assurdo dentro un carcere. Ma in effetti era così, perché tutti gettavano le maschere e accettavano di mostrare anche il loro lato negativo. Da quello spunto scaturì una bella discussione, alcuni si appassionarono molto a questi incontri. Ovviamente c’era anche chi era venuto per mera curiosità, perché c’era una donna, perché si leggeva... e poi magari si era allontanato. In breve però si formò un gruppo più ristretto, una decina di persone, che rimase molto fedele a questi appuntamenti.
L’esperienza del laboratorio funzionò bene, tant’è che mi rinnovarono l’incarico per due anni. Dopodiché ho continuato come volontaria. Conservo un ricordo bellissimo ed emozionante di quel primo gruppo. Infatti nel corso degli anni è rimasto un grosso rapporto affettivo, tant’è che dopo tanto tempo ci sono stati dei contatti, anche se sporadici, persino con quelli che sono usciti dal carcere. In un certo modo sono entrata a far parte della loro famiglia.
Come si svolgevano i vostri incontri?
Abbiamo cominciato osservando e analizzando i titoli dei libri, suddividendoli per tipo: alcuni solleticavano la fantasia senza rivelarne il contenuto, altri erano più descrittivi, come "La lunga vita di Marianna Ucria”. Poi siamo passati all’analisi degli incipit dei libri. Insomma, un lungo lavoro di osservazione. Dopodiché abbiamo iniziato a giocare.
Per me la lettura e la scrittura sono strettamente legate. Sono i due lati di un messaggio: la ricezione e la produzione. Ho allora proposto loro di immaginare dei titoli di libri che avrebbero voluto scrivere e poi di scrivere una sola frase come possibile inizio di un testo. Abbiamo fatto anche delle cose un po’ folli, tanto per divertirci: come la recensione di libri mai scritti! Cioè, a partire da titoli che ci eravamo inventati, sottolineavamo i pregi e i difetti del libro; poi siamo passati a costruire dei personaggi…
Come ti è venuta l’idea di passare dalla prosa alla poesia?
Col tempo mi sono accorta che la prosa non era alla loro portata e richiedeva tempi lunghi. ...[continua]

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