Faïza Zouaoui Skandrani è editrice, scrittrice e giornalista. Ha lavorato come professoressa di lingua e letteratura francese. Ha coordinato il Groupe d’appui à la parité e l’associazione Egalité et Parité che hanno promosso e sostenuto la legge sulla parità in Tunisia. Fa parte dell’Associazione delle donne tunisine per la ricerca e lo sviluppo.

L’11 aprile la Haute Instance pour la réalisation des objectifs de la révolution ha votato una legge che obbliga al principio di parità nella composizione delle liste elettorali per le elezioni dell’Assemblea Costituente che si terranno il prossimo 23 ottobre. Lei ha coordinato il gruppo che ha sostenuto e proposto questa legge. Come ci siete riuscite?
Va detto che sia durante il periodo di Bourguiba, che durante il vecchio regime, in Tunisia c’è sempre stata una "Politica della donna”, che però era strumentale e strumentalizzata, tant’è che spesso le donne non la condividevano.In Tunisia dal 1956 esiste il Codice di Statuto personale (integrato nel 1992 da ulteriori leggi a favore della donna). Quel Codice ha concesso alla donna uno statuto unico nel mondo arabo. Ma ha cinquant’anni. Ora i partiti accorrono a dire: "Salvate il Codice”. Ma noi vogliamo di più. Vede, io insegno a scuola e all’università dal 1975 e ho sempre cercato, nel mio lavoro, di portare avanti i principi di autonomia e uguaglianza per la donna. Questa rivoluzione non è arrivata dal nulla: dietro ci sono anni di lavoro, come una rete universitaria estesa, scuole, amministrazioni che lavorano... Non c’era la tabula rasa prima. In Tunisia tante persone si sono fortemente impegnate per arrivare al punto in cui siamo oggi e questo è il tesoro tunisino.
Tuttavia, dopo la Rivoluzione, abbiamo assistito al riemergere di discorsi retrogradi che puntavano a togliere alle donne i loro diritti: si è evocata la poligamia, ad esempio, oppure si è sentito dire che la disoccupazione in Tunisia dipende dal fatto che le donne lavorano...Insomma, è partita una campagna di denigrazione delle donne sui mezzi di comunicazione. A quel punto ho iniziato a contattare dei giornalisti per dire loro di far parlare delle donne, che c’erano molte competenze femminili in Tunisia. Non mi hanno ascoltato: che fossero le radio o la tv, c’erano sempre degli uomini che parlavano di tutto: cultura, diritto...Lì ho capito che la mentalità non era affatto cambiata rispetto a prima. Così abbiamo iniziato a mobilitarci.Come sappiamo, la Rivoluzione tunisina non è stata promossa dagli islamici, è stata una rivoluzione senza leader e senza programmi. Semplicemente il popolo non sopportava più la dittatura. In un secondo momento però abbiamo assistito a un tentativo, da parte degli islamisti, di recuperare la Rivoluzione a loro uso, intanto contrapponendo le loro "mani pulite” alle "mani sporche” dei politici ladri e corrotti del regime. Hanno giocato molto su questa cosa.
Contemporaneamente, come dicevo, erano riemersi aspetti della vecchia mentalità che, soprattutto dopo il rientro dall’esilio di Ennahda, il partito islamico bandito da Ben Ali, hanno trovato terreno fertile nel pensiero islamista e in particolare in un forte conservatorismo nei confronti delle donne. Si tratta di atteggiamenti che erano presenti ma repressi.Lei ha parlato di una campagna mediatica contro le donne. Ci può spiegare?Sì, c’è stata una vera e propria campagna mediatica orchestrata intorno a tre modelli di donna. Il primo modello messo all’indice dai media è stato quello di Leila Ben Ali: una donna avida, che aveva rubato, cha aveva servito gli interessi della sua famiglia; un esempio negativo della donna in politica. Di lì tutti i discorsi: "Basta donne in politica, che tornino in cucina”. Il secondo di cui si è parlato è quello di un’universitaria ed ex deputata, Riadh Zghal, che ha chiesto di abbassare i decibel dei richiami alla moschea per la preghiera. Di qui un’immagine della donna come antireligiosa. Il terzo è quello della poliziotta, Fayda Hamdi, che avrebbe schiaffeggiato Mohamed Bouazizi prima che costui si desse fuoco. In realtà è stato dimostrato che quella versione è un falso, ma intanto ha contribuito a diffondere un’immagine negativa della donna.Ecco, questi tre modelli ben esemplificano la manipolazione che c’è stata nei confronti della donna per poi arrivare al solito discorso: le donne devono stare a casa. Perché? Perché sono fonte di "fitna”, disordine, corruzione, guerra civile, violenza...Per le donne si profilava qui ...[continua]

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