Bruno Anastasia, Veneto Lavoro, responsabile dell’Osservatorio sul mercato del lavoro (i cui prodotti sono disponibili sul sito www.venetolavoro.it), si occupa da tempo dell’economia e del mercato del lavoro veneto, cui ha dedicato numerose ricerche.

Vorremmo tornare a fare il punto sulla situazione del Veneto rispetto alla crisi. Gli ultimi dati pubblicati da Veneto Lavoro restano preoc­cupanti...
Nella primavera del 2011 pensavamo di essere arrivati in fondo alla caduta occupazionale cominciata nel 2008. Speravamo che ci si arrestasse lì e che magari si riprendesse a crescere. E invece i primi dati disponibili sulla seconda parte dell’anno, quelli aggiornati a settembre, hanno messo in evidenza che l’occupazione è ritornata a diminuire: su base annua a fine settembre in Veneto c’erano circa 13.000 posti di lavoro in meno rispetto alla stesso periodo dell’anno precedente. Quando dico "occupazione” mi riferisco all’occupazione dipendente e ai contratti sia a tempo determinato che indeterminato.
Questa nuova flessione dell’occupazione preoccupa perché si aggiunge a tutto ciò che è successo negli ultimi tre anni. È una flessione cumulativa, è questo il problema principale: ai posti di lavoro in meno registrati nel 2009 (-53.000 a settembre 2009 su settembre 2008), si sono aggiunti i saldi negativi del 2010 (-7.000, sempre a settembre) e ora anche quelli del 2011 (-13.000). In totale fa circa 73.000 posti di lavoro in meno. Siamo dunque dentro una situazione di riduzione continua, seppur con velocità variabile, dei posti di lavoro. E per fortuna che la crisi è arrivata in un momento di massimo occupazionale: questo ha un po’ facilitato l’assorbimento delle difficoltà. Ma non possiamo dimenticare mai che siamo una popolazione che nella fascia d’età 20-70 anni continua leggermente a crescere e perciò ci sarebbe bisogno che i posti di lavoro aumentassero, solo per mantenere costante il tasso di occupazione, vale a dire la probabilità per ciascuno di trovare o ritrovare lavoro. Questo non sta accadendo e le previsioni non sono buone per i prossimi due anni.
Se si avverano le ipotesi di scenario di Confindustria, nel 2012 dovremo scontare una caduta del prodotto interno lordo italiano assai consistente (-1,6%) e quindi l’effetto occupazionale che ci attendiamo non potrà che essere preoccupante. Questo è il quadro.
Quali sono i settori che risultano più sofferenti e quali quelli che tengono? Si è detto che la crisi avrebbe operato una selezione...
Nella prima fase chi ha subito di più il calo della domanda sono stati i settori esportatori perché è venuta meno la domanda mondiale. Ora però questi settori si sono lentamente ripresi: le esportazioni del Veneto sono tornate a crescere, nel 2011 non dovremmo concludere molto lontano dal valore di 50 miliardi, vale a dire il livello raggiunto nel 2007-2008.
La crisi occupazionale ha riguardato principalmente i settori manifatturieri nel primo momento, poi ha coinvolto largamente il settore delle costruzioni e, nei settori del terziario, soprattutto quelli collegati alle attività industriali, quindi l’ingrosso, la logistica. Da ultimo, per ragioni diverse, ha interessato la pubblica amministrazione che, all’interno del terziario, è il comparto che più continuativamente sta mettendo in evidenza la contrazione dei livelli occupazionali.
Quest’ultimo è un fatto assolutamente nuovo nella storia italiana: la pubblica amministrazione nelle fasi di crisi ha sempre avuto un comportamento anti-ciclico; ora ha assunto invece un comportamento pro-ciclico, nel senso che contribuisce alla riduzione dell’occupazione.
È una novità e sappiamo a cos’è dovuta: al fatto che, tra tutte le aziende in difficoltà, lo Stato è quella più in difficoltà di tutte. Anche se ovviamente ha armi particolari con cui difendersi. Pur con le specificità settoriali che abbiamo ricordato, la crisi comunque sembra aver determinato più una selezione delle imprese che dei settori.
In che senso?
Intendo dire che in ogni settore ci sono aziende che hanno beneficiato della riduzione della capacità produttiva: la chiusura di qualche azienda lascia, a chi rimane, quote maggiori di mercato. Del resto non risulta ci siano settori che, come tali, evidenzino una sicura crescita. A differenza che in altre congiunture, siamo in una fase in cui si fatica a individuare il motore di una ripresa. In altri periodi abbiamo assistito a una sorta di chiara compensazione: negli anni Cinquanta e Ses ...[continua]

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