Marina Fresa, laureata in Architettura a Venezia, ha lavorato per molti anni in Soprintendenza a Venezia. Nel 2010 ha fondato, assieme ad altre paesaggiste e storici del giardino, l’associazione Pietro Porcinai. Vive a Roma.

Hai trascorso gran parte della tua vita occupandoti della tutela del paesaggio e della conservazione dei monumenti. Puoi raccontare?
Subito dopo la laurea in Architettura, avevo trovato lavoro in uno studio privato, ma era un’esperienza che non mi appassionava: i committenti erano singole persone che, per esempio, avevano bisogno di ristrutturare un appartamento, insomma una dimensione "piccola”, non tanto dal punto di vista della quantità ma proprio dal punto di vista del senso di quello che facevo. La mia aspirazione era di poter lavorare su quelli che comunemente vengono chiamati i monumenti, che sono poi il nostro patrimonio. La bellezza del paesaggio e delle nostre città è un bene comune che dovremmo difendere veramente con le unghie e con i denti.
Allora ho fatto il concorso per lavorare in Soprintendenza. Lavorare nel pubblico non era solo una scelta ideale, ma anche professionale: diversamente mai avrei avuto la possibilità di restaurare, ad esempio, la facciata della basilica dei Santi Giovanni e Paolo oppure la Chiesa di Santa Maria del Giglio. Era un lavoro molto stimolante, in cui dovevi continuamente aggiornarti, studiare. Negli anni 80, le Soprintendenze, tra l’altro, godevano di una certa autonomia scientifica e anche politico culturale.
Personalmente, poi, ho avuto la grandissima fortuna di avere come soprintendente una donna speciale, l’architetto Margherita Asso. Ricordo con che determinazione si oppose allo scellerato progetto di costruire un mega-garage sull’isola del Tronchetto a Venezia, città senza macchine per eccellenza. Alla fine dovette intervenire il ministro per dire un sì che lei non avrebbe mai detto.
Nell’85, quando avevo cominciato a lavorare in Soprintendenza, era appena uscita la legge Galasso (poi soppressa), un provvedimento molto importante. Infatti ci fu una corsa ad utilizzare gli strumenti che quella legge metteva a disposizione per tutelare luoghi e paesaggi a rischio di degrado, di edificazione, eccetera. Grazie a quella legge, ad esempio, venne vincolata tutta la cinta dei forti di Mestre e anche il bosco di Carpenedo. Fu una stagione molto appassionante: non si trattava di svolgere un mero lavoro disciplinare, di fare soltanto gli architetti; avevamo davvero la sensazione di occuparci della città. A poco a poco, purtroppo, questa tensione ideale, questa attenzione al patrimonio culturale, alla cittadinanza, andò diminuendo, anche a causa di tutta una serie di norme che di fatto subordinarono il dirigente pubblico a una gerarchia politica, cioè alle decisioni che venivano prese a Roma. Cambiò proprio la cornice del rapporto di lavoro: i dirigenti pubblici diventarono tutti "a contratto”, nominati da direttori generali a loro volta direttamente nominati dal ministro. Una catena del comando che compromise fortemente quell’autonomia disciplinare assolutamente fondamentale per amministrare la cosa comune.
Ormai non c’è più nessuno che dica: "Questa cosa è sbagliata tecnicamente”, si dice soltanto: "Il ministro ha detto”.
Un po’ per questa mutata situazione e un po’ per stanchezza, perché era anche un lavoro molto stressante, nel senso che da una parte c’erano questi grandi temi, ma poi il quotidiano era fatto di tantissimo lavoro spicciolo perché chi abitava in case tutelate, nei palazzi del Canal Grande, nei palazzi pubblici, per fare qualsiasi lavoro doveva avere l’autorizzazione e noi eravamo in pochi; insomma, un po’ per la fatica, per lo stress, ma anche per la voglia di cambiare, lasciai. Ero entrata nell’85, nel 2000 me ne andai da Venezia.
Avevo pensato di tornare a vivere a Roma anche per motivi personali, io sono romana e mia madre nel frattempo era diventata anziana, e poi Venezia, col passar degli anni, era diventata un po’ piccola. Nella capitale andai a lavorare al ministero. Fu dura: il lavoro era diventato davvero molto burocratico e poi dal 2000 ci furono almeno cinque ristrutturazioni.
Mi avevano chiesto di riorganizzare, di rimettere in piedi il comitato nazionale per i giardini storici. Così mi rimisi a studiare. È una materia molto particolare, che tra l’altro incrocia tutta una serie di specialismi, perché esistono i parchi archeologici, dove la vegetazione ha un ruolo molto importante, esistono i giardin ...[continua]

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