Ahlem Belhadj è presidente dell’Association tunisienne des femmes démocrates che si batte fin dal 1989 per la democrazia e per i diritti delle donne in Tunisia. A inizio 2012 ha ricevuto il premio Simone de Beauvoir e ora, il 29 giugno 2012 riceve a Bolzano il Premio Internazionale Alexander Langer.

Com’è nata l’Association Tunisienne des femmes démocrates e quali sono state le sue prime attività?
L’Atfd nasce in un momento di apertura politica alla fine degli anni Ottanta e in continuità con il movimento autonomo femminista tunisino, nato alla fine degli anni Settanta, che si voleva smarcare dal cosiddetto femminismo di stato per denunciare il fatto che la parità non era ancora acquisita e che c’era ancora un baratro tra la legge e la realtà. Questo movimento femminista voleva rivendicare la difesa dei diritti delle donne insieme alla lotta per la democrazia e la libertà.
La lotta per l’uguaglianza nella legge e davanti alla legge diventa molto in fretta l’obiettivo principale dell’associazione. La nostra carta contempla tutti i punti cruciali per i diritti delle donne, dal no alle discriminazioni al diritto all’autodeterminazione, dalla libertà sessuale e riproduttiva alla solidarietà con tutte le donne arabe in lotta per i loro diritti. Man mano però l’associazione si è specializzata su alcuni ambiti, realizzando numerose attività: fin dall’inizio degli anni Novanta abbiamo denunciato la violenza contro le donne e abbiamo istituito un centro d’ascolto per le vittime. L’altro fronte per noi decisivo era quello di convincere lo Stato tunisino a togliere le riserve sulla ratificazione della Convenzione per l’eliminazione di tutte le forme di discriminazione verso le donne. Le riserve riguardavano soprattutto il diritto all’eredità e la divisione dei compiti all’interno della famiglia, dove tutt’oggi il capofamiglia rimane l’uomo e non esiste un’autorità parentale congiunta per i bambini.
Dunque, sotto il regime di Ben Ali, l’Atfd ha lavorato duramente per promuovere i diritti delle donne. Qual è stato il ruolo principale avuto dall’associazione in questo ventennio?
L’importanza di un’associazione come la nostra sotto il regime di Ben Ali è stata duplice: il primo aspetto da sottolineare è che il regime ha sempre strumentalizzato il tema delle donne, mostrando l’aspetto moderno della nostra società, sostenendo di essere un paese che rispetta i diritti delle donne. Ecco, noi eravamo lì per dire che non è vero. Anche se le tunisine hanno conquistato molti diritti a partire dal 1956, la realtà discriminatoria era ancora la regola. Dall’altra parte eravamo e siamo ancora un’associazione autonoma da tutti i partiti, ma soprattutto rispetto al potere di cui abbiamo denunciato le forme di repressione e di ingiustizia. A partire dalla tutela dei diritti delle donne abbiamo svelato i vari soprusi della dittatura. Ad esempio, parlando della violenza sulle donne, abbiamo sollevato il problema dell’indipendenza della giustizia e delle leggi discriminatorie. Quando parlavamo di donne vittime di violenza, parlavamo anche della polizia che malmenava la gente, che non rispettava la libertà dei cittadini.
In più eravamo all’interno di un movimento democratico in generale e per questo eravamo parte di una rete di associazioni impegnate per i diritti umani.
Abbiamo redatto una serie di rapporti su questi temi e abbiamo partecipato a tutte le azioni di solidarietà. Per questo nostro attivismo siamo state ostacolate duramente dal regime: ci proibivano l’accesso agli spazi pubblici, ai media, avevamo la polizia che controllava la nostra posta, siamo state minacciate e picchiate. Insomma, abbiamo conquistato delle cose, però siamo consapevoli che non si può avere la libertà delle donne, se non vengono rispettate le libertà di tutti i cittadini tunisini.
Quali sono stati i risultati più importanti della vostra lotta?
Devo dire che anche se abbiamo subìto una certa repressione, siamo state un gruppo di pressione assai efficace. Nel 2000, ad esempio, abbiamo iniziato una campagna, durata quattro anni, per la penalizzazione delle molestie sessuali, coronata dal successo e dall’inserimento di questo reato nel codice penale.
La legge non è delle migliori, ma è merito nostro se è stato riconosciuto il problema. Su tutto il discorso della violenza sulle donne, abbiamo dovuto lavorare per più di dieci anni, prima che lo stato riconoscesse il fenomeno e se ne facesse carico. Agli inizi degli anni Novanta abbia ...[continua]

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