Nadia Urbinati insegna Teoria politica alla Columbia University di New York. Collabora a varie riviste di teoria e filosofia politica.

Tu metti in guardia contro i rischi che comporta il diffondersi di una concezione elitaria della democrazia. Puoi spiegare?

Io partirei dall’Italia del dopo Berlusconi, perché è un caso esemplare di un fenomeno più generale. A me interessa riflettere sulle conseguenze che questi vent’anni di discussioni su, contro o per Berlusconi come fenomeno centrale della nostra vita politica, hanno avuto sulla visione della politica e della stessa democrazia. La prima, e più rilevante, conseguenza è una crisi di fiducia nella democrazia. Questa, come sappiamo, è sia un sistema di regole, procedure e istituzioni, sia un modo di fare politica e di operare nel pubblico per mezzo di opinioni, movimenti, proposte, critiche, eccetera. Sono due forme di azioni diverse finalizzate a un unico scopo: prendere decisioni (fare leggi) con il sostegno della maggioranza numerica, ma all’interno di un processo politico che coinvolge tutti.
Ebbene oggi, mentre da un lato l’aspetto normativo e procedurale diventa sempre più oggetto di critica e di scetticismo (pensiamo alla critica ai parlamenti e alla rappresentanza) per l’uso perverso che ne è stato fatto da parte di chi svolge e ha svolto funzioni politiche, dall’altro lato la democrazia diventa un oggetto di scontro e confronto partigiano come fosse un’ideologia a tutti gli effetti, quindi criticabile da parte di altre ideologie, trasformabile in qualcos’altro. Se la democrazia diventa un’ideologia allora è prevedibile che abbia un alter ego ideologico che le fa da controcanto e l’alter ego della democrazia è, da sempre, una politica fatta dai pochi, non dai molti.
Questa ideologia anti-democratica può prendere forme radicali e violente (come un colpo di stato militare, ad esempio in Cile nel 1973) o invece forme più blande e perfino benevole: i pochi, si dice in questo caso, fanno il bene dei tanti perché mettono le loro competenze o le loro fortune al servizio del governo della società. Questo si chiama paternalismo dell’élite, un governo di pochi per il popolo (ma possibilmente non per mezzo del popolo). La critica può essere radicale: la democrazia, in questo caso, è dichiarata inaffidabile non solo perché produce corruzione, ma anche e soprattutto perché è inefficace e incapace di risolvere problemi che sono sempre più tecnici, specialistici, specifici, che richiedono velocità di intervento, competenze e sapere tecnico, fattori che per voto o per scelta ideologica non possono essere visti e nemmeno selezionati. Secondo il paternalismo dell’élite, occorre allora un selezionante che sia fuori dai giochi e che scelga il personale politico in ragione della sua competenza (è interessane che anche il movimento demagogico per eccellenza, il Movimento 5 Stelle di Beppe Grillo, si serva di curriculum vitae per selezionare gli assessori e formare le giunte: la competenza viene prima del consenso degli elettori, e anzi è una ragione per la quale viene richiesto il mandato agli elettori). Il principio gerarchico si sostituisce al principio egualitario, e quindi al giudizio politico che in questo modo perde la sua specificità e diventa una sottospecie di giudizio competente e tecnico. Con la decadenza del consenso elettorale si ha la decadenza del giudizio politico, del quale molti cominciano a dubitare proprio perché è endemicamente non riducibile a nessuna specifica competenza e basato su valutazioni di tipo civico o etico (coraggio, prudenza, lealtà, rispetto della legge, ecc.) che non dipendono da quel che si sa o si conosce, benché quel che si sa e si conosce possa indirizzare il giudizio su che cosa fare o non fare. Detto in maniera schematica, questo è lo scenario.
Perché l’Italia è esemplare? Perché in Italia questi vent’anni di cattivo governo e di cattivo uso delle istituzioni democratiche hanno favorito queste forme di critica anche radicali alla democrazia e hanno fornito una giustificazione positiva alla riduzione del peso della politica democratica a favore di selezioni del personale politico per vie non elettorali; oggi la competenza dei pochi ha più autorevolezza del volere dei molti (del resto, l’appello alla "volontà popolare” del quale si è abusato durante gli anni berlusconiani, sia con l’uso strategico di elezioni anticipate sia con l’arma subdola dei sondaggi, ha in qualche modo giustificato questa diffidenza nelle f ...[continua]

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