Francesca de Carolis, giornalista, attualmente conduce la trasmissione "Area di servizio, disabilità e diritti” su Radio 1. Il libro di cui si parla è Urla a bassa voce, dal buio del 41bis e del Fine Pena Mai, Stampa Alternativa 2012, che raccoglie i testi di 36 detenuti, tutti ergastolani ostativi.

Possiamo intanto spiegare cosa vuol dire essere un "ergastolano ostativo”.

Gli ergastolani ostativi sono persone condannate per reati, quali associazione di stampo mafioso, sequestro di persona a scopo di estorsione, associazione finalizzata al traffico di stupefacenti, che in base all’art. 4 bis dell’ordinamento penitenziario vengono escluse dall’applicazione dei normali benefici previsti dalla legge, a meno che non si scelga di essere collaboratori di giustizia. Chi non fa questa scelta, se condannato all’ergastolo, ha un effettivo "fine pena mai”. Per chiarire: un ergastolano "normale”, dopo dieci anni, può cominciare a chiedere dei permessi, non è detto che li ottenga ma li può chiedere, dopo vent’anni può avere la semilibertà, e così via fino alla libertà condizionale. Ecco, gli ostativi sono esclusi da tutto questo.
In Italia si calcola siano più di un migliaio, anche se non se ne conosce il numero esatto. L’ultimo dato ufficiale, di qualche anno fa, parla di non meno di settecento persone, quindi comunque centinaia di persone per le quali in qualche modo "si è buttata la chiave”.
Quando ne parlo, anche con i colleghi giornalisti, mi chiedono sempre: "Ma ci sono boss?”. La risposta è no. Cioè, non fra i "miei” trentasei. Oppure, se lo sono, sono proprio di medio o piccolo calibro. Bisogna infatti tenere conto che questa normativa si applica in maniera molto rigida a tutte le organizzazioni di stampo mafioso. Noi normalmente pensiamo alla mafia, alla camorra, alla ‘ndrangheta, ma in realtà si applica anche ad organizzazioni di livello locale. Questo spiega anche l’alto numero di ostativi. E soprattutto viene applicata anche in­­­di­­­pen­dentemente dal ruolo che queste persone rivestono all’interno dell’organizzazione. E questo spiega perché non si tratta necessariamente di "grandi boss”, e in qualche modo anche perché molti non hanno collaborato: probabilmente, occupando una posizione marginale, semplicemente non hanno nulla da dire.
Loro ci tengono sempre a spiegare perché non sono diventati collaboratori di giustizia.
Devo fare una premessa. Ovviamente io so quanto siano stati importanti i collaboratori di giustizia e che ruolo hanno avuto nella lotta contro la mafia. Un intero capitolo andrebbe dedicato alle donne collaboratrici di giustizia, anzi "testimoni di giustizia”. Pensiamo solo alla giovane Rita Atria, che si suicidò dopo la morte di Borsellino, o più recentemente a Lea Garofalo, Tita Buccafusca e Maria Concetta Cacciola, le donne calabresi che per la loro scelta sono state uccise.
Insomma, sappiamo cosa sono e rappresentano i collaboratori di giustizia. Però ci sono persone che chiedono che vengano ascoltate anche le loro motivazioni, che vogliono spiegare perché non hanno fatto questa scelta. La ragione più banale è il timore delle vendette trasversali, ma molti, come accennavo, hanno semplicemente poco o nulla da dire. Oppure -e questo è interessante per capire il loro mondo- non se la sentono di tradire una persona con la quale magari sono cresciuti insieme fin da piccoli.
Mario Trudu è in carcere da 32 anni e non ha mai avuto un permesso, se non quelle poche ore che gli sono state concesse per presentare un’attività svolta all’interno del carcere. Trudu è stato condannato per un sequestro a scopo di estorsione conclusosi con la morte del sequestrato. Ha due condanne: della prima accusa si dichiara innocente, della seconda si riconosce colpevole.
Ma la domanda che gli ostativi pongono è: ha senso una pena che non finisce mai? L’articolo 27 della Costituzione parla di pene che devono tendere alla rieducazione, parola che tra l’altro a me piace poco perché mi fa tanto pensare ai "campi di rieducazione”, ma comunque…; parla inoltre di pene che non devono essere contrarie al senso dell’umanità.
Ecco, ha senso una pena che non finisce mai? O non è semplicemente una vendetta dello Stato? E poi a chi serve? Forse non serve neanche alle vittime...
Ma così viene punito anche chi, essendo solo un galoppino, non ha nulla da raccontare e quindi non può collaborare...
Comunque delle piccole vie d’uscita ci sono. Piccolissime. Per esempio è stata introdotta la "collaborazion ...[continua]

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