Salvatore Capone è sindacalista della Fistel Cisl, vive e lavora a Roma.

Da molti anni segui i lavoratori dei call center e tu stesso hai svolto questo lavoro. Volevamo capire com’è cambiata la situazione.
Io ho lavorato al servizio 12 elenco abbonati, parliamo dell’88, e poi al 187 commerciale quando è nata Telecom Italia. Rispetto al modo di lavorare, il cambiamento principale riguarda la flessibilità della prestazione. All’epoca, il cliente ti chiamava per telefono e tu lavoravi dal lunedì al venerdì, ma alle quattro chiudevi. Oggi non solo questo servizio viene offerto H24 ma è multicanale, nel senso che puoi accedere ai servizi di informazione e di supporto tecnico anche attraverso la posta elettronica, internet, le chat. Almaviva, Call & Call, così come altre aziende del settore, oggi mettono in campo diverse modalità di risposta. Dipende dalla tipologia della commessa: per esempio, se tu chiami il servizio tecnico hai bisogno che dall’altra parte ci sia qualcuno che ti risponde immediatamente. Se è un servizio commerciale, puoi chiedere informazioni via mail e dall’altra parte ti possono rispondere anche il giorno dopo.
Quindi intanto quando parliamo di call center non dobbiamo più pensare solo all’operatore telefonico. Tutte le aziende si stanno attrezzando per intercettare i cosiddetti volumi di chiamate con modalità alternative che tra l’altro hanno costi enormemente più bassi per cui riducono ulteriormente il costo del lavoro. Anche questo va sottolineato: queste sono aziende "labour-intensive” dove il costo dell’attività è per l’80% costo del lavoro perché quello che resta è il capannone, le cuffiette e la rete per portarti le chiamate. Non c’è la fabbrica, non ci sono le macchine. La competizione avviene sul costo del lavoro. Dovrebbe anche svolgersi sulla qualità del servizio, ma in una fase come questa i committenti, soprattutto in area telco, delle telecomunicazioni, che sono quelli che stanno soffrendo di più, fanno pressione prevalentemente sul prezzo.
Quand’è che le grandi aziende hanno cominciato a decentralizzare i call center, dandoli in outsourcing a ditte esterne?
È un processo lungo che è durato anni. Volendogli dare una data d’inizio, possiamo mettere il 2000, quando è nato il contratto di settore delle telecomunicazioni (Contratto Collettivo Nazionale del Lavoro per le Imprese esercenti servizi di telecomunicazione) cui via via hanno aderito le aziende del settore, che sono le licenziatarie del servizio, quindi Tim, Wind, Vodafone, 3G, ecc. Con quel contratto è stata fatta una scommessa nel senso che il contratto delle telecomunicazioni è diventato anche il contratto dei call center. Abbiamo fatto la scommessa di tenere assieme l’intera filiera dei committenti e delle aziende che svolgono il servizio. Moltissimi call center hanno trovato conveniente aderire a questo contratto. Con il tempo questo si è rivelato anche un elemento di sofferenza perché tiene dentro aziende con capacità economiche molto diverse. Qualche contraddizione rimane anche se, soprattutto con la stipula dell’ultimo contratto, siamo riusciti a tenere assieme le istanze di entrambi i mondi.
Nell’immaginario, quello del call center è il lavoro precario per eccellenza. È ancora così?
Qui bisogna fare una precisazione importante. Prima tutte le attività di call center venivano svolte da lavoratori prima co.co.co e poi co.co.pro, quindi da lavoratori precari. Durante il governo Prodi, nel 2006, il ministro Damiano ha emanato una prima e una seconda circolare alla quale ha fatto seguito una circolare Sacconi durante il governo Berlusconi, regolata ulteriormente dal 24 bis della legge Fornero.
Tutta questa letteratura normativa sostanzialmente ha introdotto una divisione di questo mestiere in due grandi branche: l’inbound e l’outbound. La branca dell’inbound è la prestazione del lavoratore che riceve la chiamata del cliente. Tu chiami il 190 per avere informazioni sul tuo telefono o sulla promozione e ti risponde un operatore. Quella è una chiamata inbound. La circolare Damiano e successive hanno tutte certificato che chi fa questo mestiere non può che essere un lavoratore subordinato quindi con un contratto collettivo nazionale. Pertanto da quel momento si è proceduto alle stabilizzazioni. All’epoca io lavoravo sulla struttura del Lazio e ho fatto accordi per migliaia di lavoratori. Non esagero: migliaia di lavoratori passarono da precari a subordinati. Quella circolare e le successive hanno per ...[continua]

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