Marcello Flores insegna Storia comparata e Storia dei diritti umani nell’Università di Siena, dove dirige anche il Master europeo in Human Rights and Genocide Studies. Tra le sue ultime pubblicazioni: La fine del comunismo, Bruno Mondadori, Milano, 2011; Storia dei diritti umani, il Mulino, Bologna, 2008

In una situazione in cui si assiste alla moltiplicazione dei diritti, è inevitabile che sorgano conflitti fra gli stessi; la questione dell’Ilva ha reso evidente in modo eclatante il conflitto fra diritto alla salute e diritto al lavoro, così come dopo l’11 settembre è emerso quello fra diritto alla sicurezza e diritto alla libertà. Come orientarsi?
La prima considerazione che mi sembra si possa fare è che il tema del possibile conflitto o dell’aumento del conflitto tra diritti è il risultato di una situazione in cui i diritti sono presi più seriamente che nel passato, quindi è certamente un dato positivo. Quando si trattava ancora di combattere per pochi diritti fondamentali c’era solo il conflitto tra chi viola o nega i diritti e chi cerca di imporli. Pertanto questa è una situazione interessante storicamente, che però apre una fase nuova, una discussione nuova, in cui bisognerebbe, intanto, avere una consapevolezza maggiore di che cosa sono i diritti, perché, a mio avviso, si rimane molto sul generico, in particolare sui giornali, dove tutto è un po’ un diritto, anche le cose più banali, i desideri o le abitudini. Poi c’è il rischio di destoricizzare il diritto e questo impedisce una comprensione dei problemi: anche nel caso di Taranto, che è il caso più clamoroso di conflitto fra diritti, facendo un po’ di storia, si vede che, per tantissimo tempo, la violazione di un diritto fondamentale come quello alla salute è stata dimenticata, sottovalutata, ignorata da chi, invece, avrebbe dovuto metterla in evidenza. Dopodiché, quando la situazione è arrivata drammaticamente a un punto di non ritorno, a un punto, cioè, in cui si è resa necessaria una decisione radicale (in questo caso presa dalla magistratura giustamente, non solo da un punto di vista giuridico, ma anche morale, direi) è scoppiato un conflitto drammatico tra diritto al lavoro e diritto alla salute e a quel punto le soluzioni diventano difficili.
Ora, io non conosco bene la questione di Taranto, per cui non so quante siano le possibilità che in un tempo medio il risanamento possa davvero creare anche delle condizioni accettabili per la salute o quanto, invece, qualsiasi piano manterrebbe un grado di nocività ineliminabile. In questo secondo caso, credo che la scelta drastica e dolorosa di privare la città, e non solo la città, di un comparto produttivo importante dovrebbe comunque, in qualche modo, essere presa e accettata, perché il diritto alla salute dovrebbe prevalere.
Se tuttavia si dovesse andare davvero alla chiusura per motivi di salute pubblica, lo Stato dovrebbe contestualmente prendere un impegno relativo al diritto del lavoro, trovando una soluzioni che potrebbe essere quella di una cassa integrazione straordinaria.
Sono problemi molto complessi: pensiamo solo che lo stesso discorso della salvaguardia della salute dei cittadini dovrebbe valere per tante altre realtà, per esempio i centri di alcune cittadine dove si superano continuamente i livelli di sicurezza dell’inquinamento.
In linea di principio, credo si possa dire che bisognerebbe cercare delle soluzioni che il più possibile garantiscano il massimo di entrambi i diritti che sono in conflitto. E quindi entrare poi in concreto su che cosa questo può significare.
Tu conosci molto bene i problemi inerenti ai cosiddetti interventi umanitari…
Qui abbiamo in modi diversi la necessità, il dovere di intervenire quando ci sono gravi violazioni dei diritti umani che uno stato non vuole o non può risolvere al proprio interno, spesso perché ne è esso stesso responsabile. Quindi, la comunità internazionale ha il dovere di intervenire.
Qual è il problema? Che questo dovere di intervenire non può essere accompagnato da violazioni di diritti. Dal Kosovo alla Libia, invece, questo è avvenuto. Ora, invece di discutere le modalità di un intervento, la discussione è sempre rimasta confinata sulla liceità o meno dell’intervento, dove chi dice no all’intervento in modo assoluto, in termini di pacifismo radicale, tende a non prendere in considerazione il problema di cosa fare per coloro che subiscono un’aggressione che può provocare, come in Siria, decine di migliaia di mort ...[continua]

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