Ida Farè, giornalista, scrittrice, casalinga anche, insegna Architettura sociale alla facoltà di Architettura del Politecnico di Milano ed è una delle animatrici del gruppo Vanda, "laboratorio di ricerca su teoria e opere femminili in architettura", formato da docenti, ricercatrici e studenti.

Oggi si parla di economia della cura, di società della cura, di terzo settore. Voi partite, addirittura, dalla cura della casa, dalla cura domestica, per elaborare un modello valido per la società del futuro. Cosa vuol dire?
Il nostro modello è quello dell’intelligenza domestica, nel quale il valore della cura è sicuramente fondamentale. Le donne hanno avuto una certa difficoltà a riconoscere il valore della cura. Storicamente, per le donne la cura è stata anche un peso molto forte, che le ha tagliate fuori dalla società. La società era divisa in due, il pubblico si giocava solo nel mondo, nel sociale, ed era maschile; il privato, invece, era femminile, segreto, domestico. Questo è qualcosa che ricordiamo e che resta, e che spiega, secondo me, la resistenza femminile ad assumere la cura come valore positivo. La prima cosa che ha fatto il movimento femminista è stata dire: "Usciamo di casa, usciamo dalle cucine, usciamo fuori, andiamo in piazza". Quindi c’è una diffidenza molto forte, che continuo a vedere, per esempio, nelle giovani studentesse, e che, negli anni passati, avevo sempre riscontrato ai nostri convegni, alle nostre riunioni. Tante donne dicevano: "Siamo state tutta la vita a curare le persone, la cura dell’altro è sempre stata sulle spalle femminili, adesso dovremmo teorizzare la cura?". Secondo me, sì. Ora che la società è così cambiata e la libertà femminile è un fatto piuttosto visibile e concreto, si può, si deve, ripensare a tutto questo anche in termini positivi.
Credo che l’esperienza e i saperi femminili possano acquistare la dignità teorica di un modello: se prima, nell’epoca industriale, lo spirito del tempo voleva dire benessere, consumo, quantità, cose e case per tutti -e questo, intendiamoci, è stato anche positivo, non si può certo dire che non abbia dato nulla-, adesso siamo a una svolta. Il nuovo spirito, la nuova etica se vogliamo, può diventare la cura del corpo, la cura dell’altro, la cura della terra, tutte cose in cui le donne possono essere maestre, visto che queste cose, da tempo immemorabile, fanno parte del profondo della loro esperienza.
Quali sono le caratteristiche principali di questa intelligenza domestica?
La prima ha a che fare con l’effimero. Le donne non producono beni materiali durevoli, ma relazioni, gesti, cibo, parole; insomma, tutte cose effimere, ma che sedimentano nella crescita dei corpi, della personalità e delle relazioni. Il nutrimento che si consuma, ma dà la vita; il gesto, che dopo un minuto non c’è più, ma che costituisce la relazione. E’ tempo donato. La parola chiave, lo slogan, del lavoro domestico è: "Tanto lavoro per nulla", perché tutto si disfa continuamente e si consuma. Ma tutto ciò produce la crescita del corpo di un bambino e anche della sua personalità, produce la vita vera, insomma.
La seconda caratteristica è quella di costituire una sorta di sistema, nel quale si intrecciano le competenze più diverse. In casa si deve far di conto, si ha a che fare con tecniche artigianali e tecnologie avanzate, si produce il cibo, si gestisce una carezza, il linguaggio, la parola. Ora, questo è vero per ogni lavoro di cura, ma l’intelligenza domestica, secondo me, costituisce il modello più alto, che riassume un po’ tutti gli altri.
La terza caratteristica è quella dell’imprevisto. Queste competenze si spostano all’interno di un circuito secondo priorità che non sono mai le stesse: tu non puoi sapere in anticipo se in un dato momento è prioritario dare una sberla al bambino, spegnere il fuoco o fare di conto. Diversamente dalla produzione di un bene, che esige competenze differenti, ma poste sempre in un ordine prevedibile, nell’intelligenza domestica c’è sempre l’imprevisto che può capovolgere l’ordine dei fattori e richiede, sempre, una certa dose di invenzione. L’esempio è anche sciocco, ma, se brucia l’arrosto, devi inventarti subito qualche altra cosa, casomai devi rimediare con le patate.
Questo schema, se ci si pensa, richiama quello del bricolage del possibile, lo schema, cioè, che i biologi dicono sia seguito dalla natura. La natura ha sempre seguito il bricolage del possibile, è cresciuta e ha prodotto casualmente, a seconda degl ...[continua]

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