Tanja e Sonja sono due ragazze che provengono da uno dei paesi dell’ex Urss e che, come molte altre, sono state costrette a prostituirsi sulle nostre strade.

Siamo partite, io e Tanja, perché non si poteva più vivere, la situazione da noi è difficile, gli stipendi sono troppo bassi. Noi siamo in cinque: padre, madre, mia sorella e una nonna che vive in campagna e riesce a coltivare qualcosa. Mio padre guadagna sì e no un centinaio di dollari al mese, mia madre è invalida e ha una pensione di circa venti dollari, mentre mia sorella, che insegna, riceverà forse una sessantina di dollari. Viviamo tutti insieme in un appartamento di tre stanze. Ciononostante, il nostro reddito non è sufficiente per vivere. Io ho fatto molti lavori, sono stata insegnante, commessa, giornalista, ma gli stipendi erano sempre troppo bassi, sui 40-45 dollari. Tanja invece non ha proprio casa, sua madre vive in campagna, in un villaggio della zona di Cernobyl’, insieme alla nonna e al figlio minore, è divorziata dal padre che si è risposato e ha avuto un altro bambino, nato subito dopo l’incidente alla centrale di Cernobyl’, tanto che ne ha risentito. Lei non vuole vivere al villaggio perché non c’è niente da fare, non c’è lavoro, la casa è piccola, vorrebbe tirare fuori di lì anche sua madre e portarla via. Pensa, non hanno nemmeno l’acqua calda! Tanja, prima, lavorava in una società statale, nell’amministrazione; le avevano dato un appartamento, ma poi glielo hanno portato via per darlo ad un "afghano" (sono i militari che hanno fatto la guerra in Afghanistan e hanno la precedenza nell’assegnazione di alloggi e lavoro, ndr.). Poi è andata a lavorare in una banca, ma il problema più grosso per lei era sempre costituito dalla casa: dallo stato non è possibile riuscire ad averla e comprarla. Così abbiamo deciso di rispondere all’annuncio, per guadagnare un po’ di soldi. Era uscito su un giornale di annunci economici e prometteva lavoro all’estero. Tutti i nostri amici, tutti quelli che conosciamo e che sono andati all’estero stanno facendo soldi, tornano con la macchina, stanno bene, comprano case, hanno tutto quello che serve per vivere. Perciò abbiamo deciso di partire e abbiamo telefonato. Ci siamo incontrate con una ragazza e abbiamo parlato con lei. Lei ci ha proposto di andare in Ungheria a lavorare nelle serre, lo stipendio non era alto, ma normale. In Ungheria, infatti, coltivano verdure, piselli, pomodori per le conserve. Ci siamo messe d’accordo per due mesi di lavoro. Visto che non avevamo i soldi per il viaggio, avrebbero pagato loro, noi li avremmo restituiti lavorando, non ci sarebbero stati problemi di alcun tipo. Abbiamo deciso di partire molto in fretta, tutto è successo in fretta, tanto che, dopo tre giorni, eravamo già in viaggio. Siamo partite in treno via Ucraina fino all’Ungheria, accompagnate dal marito di questa ragazza -lei non poteva venire perché aveva un bambino piccolo-; lui è rimasto con noi per la prima parte del viaggio e ci ha pagato i biglietti. In Ungheria ci siamo fermate in una casa a Nagykanizsa, doveva essere solo per un paio di giorni, invece siamo rimaste lì per 4 o 5 giorni almeno, aspettando qualcuno che non arrivava. Poi il nostro accompagnatore è ripartito perché, nel frattempo, era arrivato un altro tipo, un croato, che ha preso il suo posto. Anche lui continuava a dirci che bisognava aspettare e così abbiamo aspettato, tra l’altro io mi ero ammalata. Il fatto importante era che ci avevano già sequestrato i passaporti: quando abbiamo attraversato la frontiera per entrare in Ungheria servivano per il visto e il tipo ce li ha presi senza che noi ci facessimo caso; da quel momento non ce li hanno più restituiti, se li sono passati l’un l’altro. Così ci siamo ritrovate in Ungheria, senza documenti, senza soldi, senza conoscere la lingua. Non c’era nessuno a cui rivolgerci, come facevamo a tornare indietro? E’ stato allora che ci hanno detto che saremmo andate in Italia per tre mesi, ma non hanno detto che ci avrebbero vendute, che avremmo dovuto restituire i soldi che pagavano per noi. Un giorno è arrivata un macchina con un autista, ci hanno fatto salire e siamo ripartite. Erano le quattro del pomeriggio. Più tardi ci hanno fatto cambiare ancora macchina, poi è arrivato un altro uomo che ha detto che saremmo dovute andare a piedi. Era già buio e così abbiamo attraversato a piedi la frontiera tra l’Ungheria e la Slovenia. Saranno state le sette di sera, era dicembre ed era già com ...[continua]

Esegui il login per visualizzare il testo completo.

Se sei un abbonato online, clicca qui accedere, oppure vai alla pagina Abbonamenti per acquistare l'abbonamento online.
Gli abbonati alla rivista hanno diritto all'abbonamento online gratuito!