Quella che segue è l’intervista che Federico Bugno ha fatto a Adriano Sofri nel carcere di Pisa per il settimanale di Sarajevo Svijet.

Adriano, vorresti ricapitolare la vicenda di cui sei stato protagonista e vittima?
Ricapitolare la mia vicenda è contemporaneamente molto complicato e molto semplice. Molto complicato, perché si tratta di una vicenda più che annosa. Io sono condannato a 22 anni di carcere quale mandante di un attentato che ha portato alla morte del commissario di polizia Luigi Calabresi, avvenuto 25 anni fa, dopo un’accusa e una serie di processi -addirittura sette- che si sono protratti per nove anni. Bastano questi dati per capire quanto tortuosa sia questa vicenda; non solo, ma questa vicenda si colloca in un preciso contesto storico e politico: l’omicidio è avvenuto nel 1972, a ridosso della svolta più drammatica, e più amara, delle vicende politiche italiane che vanno dalla fine degli anni Sessanta a tutti i Settanta, cioè la strage che noi chiamammo "di Stato" e che oggi, anche ufficialmente, viene chiamata di piazza Fontana, avvenuta a Milano, nel dicembre 1969 (una bomba collocata nell’agenzia della banca dell’Agricoltura fece 16 morti, ndr). Tutto questo spiega perché sia una faccenda complicata, che ha avuto un numero enorme di rinvii. Per quanto riguarda noi personalmente, abbiamo sempre rivendicato con forza la nostra innocenza e la nostra estraneità assoluta a questa accusa di omicidio.
L’altro elemento della complicazione è che l’Italia nel frattempo è molto cambiata e noi stessi siamo molto cambiati, non nel senso delle conversioni o dei mutamenti politici -che sono naturalmente molto forti, molto profondi e ovvii nell’arco di una vita personale- ma semplicemente per effetto del tempo trascorso, cioè di una distanza molto grande da quell’epoca.
Dunque, nel corso di questa vicenda, io ho dovuto difendere contemporaneamente la mia vicinanza a quel tempo -cioè la mia vicinanza a me stesso, per intenderci, perché si trattava di me, più giovane, con altri pensieri, altri gesti, altri linguaggi, e tuttavia me stesso- e, insieme, la mia distanza; cioè ho dovuto per molto tempo, sotto il peso tormentoso (e in molti casi prepotente, arrogante, violento) di queste accuse ingiuste, non rinnegare né il me stesso di allora, né il me stesso di oggi: difendere un’idea rimasta la stessa, ma al tempo stesso mutata.
C’era anche una risposta più semplice, mi pare di aver capito…
Sì, ed é questa. Nel 1988, una persona (Leonardo Marino, ex affiliato di Lotta Continua) che era stata, molti anni prima, fra i compagni, e anche gli amici, dell’esperienza politica di cui io ero stato partecipe e leader, in un momento di estrema difficoltà finanziaria e umana andò -secondo la versione ufficiale; da quello che emerse poi si scoprì che fu avvicinato- dai carabinieri e si dichiarò, non solo a conoscenza, ma addirittura partecipe diretto dell’attentato di cui era stato vittima il commissario Luigi Calabresi nel l972 (cioè 16 anni prima). Accusò me e Pietrostefani di essere stati i mandanti e un altro nostro amico, che oggi è in carcere con noi, Ovidio Bompressi, di essere l’esecutore materiale. Da allora è cominciata una vicenda processuale molto lunga, condotta torbidamente, con una serie innumerevole, non solo di slealtà, che già sono gravi, ma anche di violazioni delle regole processuali. Ciò ha portato infine alla nostra condanna definitiva e alla nostra scelta di venire in carcere dichiarandoci sequestrati, ovvero di reagire a un’operazione di violenza contro la verità e contro le stesse regole del diritto, assumendoci fino in fondo la difesa di quelle regole e, al tempo stesso, dichiarando che il nostro problema non era di espiare qualcosa, ma di far pagare -come deve succedere in una società democratica- ai responsabili di questa vergogna le loro scelte e le loro decisioni. Così siamo venuti in carcere, essendo liberi di venirci, avendo in tasca i nostri passaporti, qualcuno di noi, come Pietrostefani, abitando da anni all’estero, e siamo qui da un paio di mesi. Essere in carcere alla nostra età -e nel mio caso è la terza volta che vengo messo in carcere- è un’esperienza desolante e mortificante per un verso, di pazienza e di conoscenza per l’altro.
Ogni volta che ci si reimmerge in una situazione di questo genere, si compie un viaggio in uno dei tanti piccoli inferni di cui è fatto il nostro mondo. Dunque un’esperienza orribile, perchè sono venuto qui del tutto contro la giustizia ...[continua]

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