Temi Tidafi è il presidente dell’Association Algérienne Enfance et Familles d’Accueil Bénévole, che ha 1400 soci e gestisce due nidi per i bambini abbandonati dalle madri, uno ad Hadjut e uno, aperto da poco, a 20 chilometri da Algeri. L’associazione di Tidafi è una delle cinque iniziative umanitarie in tutto il mondo, insieme all’ospedale di Sarajevo, al Dalai Lama, ai ragazzi di strada in India e alle associazioni israeliano-palestinesi per il dialogo tra i due popoli, che nel 1995 è stata premiata dall’Onu, in occasione del cinquantenario della sua fondazione. Temi Tidafi è anche vicepresidente della Commissione europea "Infanzia, accoglienza, adozione".

Quando ha cominciato a dedicare la sua vita ai neonati abbandonati?
Sono padre adottivo di due ragazzi, che oggi hanno 30 e 23 anni. E’ da lì che è partita tutta la mia azione. Prima ero ingegnere e lavoravo per la compagnia petrolifera algerina negli stati del Golfo. Nel 1970, con mia moglie Jacqueline, abbiamo deciso di adottare un bambino e siamo andati in diverse maternità. Uso la parola adozione per semplificare, ma da noi non esiste, si chiama affidamento. A quei tempi tra i bambini abbandonati c’era una mortalità altissima, in alcune zone fino all’80%. Per la nostra felicità andavamo ad adottare un bambino ma, davanti a quello che avevamo visto, ci si pose fortissimo il problema di tutti quelli che rimanevano lì. Volevamo, dovevamo trovare una soluzione e non poteva certo essere quella di adottare tanti bambini, ci voleva un’azione ben più ampia. E’ allora che mia moglie, che è una donna straordinaria, ed io abbiamo cominciato a pensare a un’associazione per sensibilizzare la gente sul problema dei bambini abbandonati.
E’ stato difficile far nascere l’associazione?
E’ stata una strada lunga. L’associazione è nata nel 1983. Volevamo mantenerci autonomi dall’Fln, il partito unico di allora. E non era una scelta facile, perché mantenersi autonomi voleva dire non avere sovvenzioni, ma per noi era una condizione indispensabile. Pensavamo che il problema dei bambini non riguardasse un partito, anche se unico, ma tutta la società. Dopo due anni di discussione ci è stata data l’autorizzazione. Siamo la prima associazione autonoma nella storia dell’Algeria. Ciò è stato possibile perché durante la guerra di liberazione io ero presidente dell’associazione studenti e conoscevo molte persone dell’Fln, che, suppongo, mi stimavano.
Quale era il vostro obiettivo principale?
Abbiamo lanciato subito l’idea della pouponniere, il nido. Il nostro obiettivo principale era quello di dare una famiglia a ogni bambino. Lavoravamo e lavoriamo su quattro linee: presa in carico del neonato, assistenza alle madri in difficoltà per prevenire l’abbandono, sviluppo nella popolazione di un atteggiamento favorevole verso i bambini nati fuori dal matrimonio, pressione sul potere pubblico per trovare soluzioni legislative più avanzate e rispettose dei bambini.
Abbiamo fatto una grande campagna per raccogliere fondi. La chiesa cattolica di Hadjout, che è la mia città natale, ci ha dato il terreno e abbiamo costruito il nido. Per assistere le madri abbiamo creato una rete di famiglie di sostegno. Abbiamo chiesto ad artisti, cantanti, scrittori prestigiosi e amati dalla popolazione di donare le loro opere per raccogliere fondi e li abbiamo coinvolti direttamente nella campagna di sensibilizzazione.
In luglio nello stadio di Algeri c’è stato uno spettacolo con cantanti famosi e c’erano 30.000 giovani, un fatto straordinario nella situazione algerina. Era la prima volta che si teneva una manifestazione con così tanta gente in un solo posto. Prima avevamo fatto un festival rap a Bourouba, un quartiere di Algeri ad altissima presenza Fis, ed era un’iniziativa per raccogliere fondi per i giovani vittime del terrorismo. Anche per quanto riguarda i rapporti con il potere, abbiamo raggiunto risultati importanti. Abbiamo chiesto e ottenuto che venisse cambiata la legge sui nomi dei bambini abbandonati.
Cosa vuol dire?
In Algeria ai maschi abbandonati vengono dati due nomi, per esempio Jacques e Pierre. E Jacques diventa il patronimico. Anche alle femmine vengono dati due nomi, ma femminili, per esempio Alice e Suzie. Così Alice diventa il patronimico e quindi si capisce subito che è una bambina "dell’assistenza pubblica". Un marchio per tutta la vita. Abbiamo chiesto ed ottenuto che il primo nome, anche per le femmine, sia sempre maschile. Il secondo, e più importante, obie ...[continua]

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