Michele Ranchetti ha insegnato per lungo tempo Storia della Chiesa all’Università di Firenze. Autore di studi sul modernismo, sulla psicoanalisi, sul pensiero religioso italiano del Novecento, ha anche tradotto e curato opere di Wittgenstein e Freud.

La vicenda del modernismo, che tentò un rinnovamento della Chiesa dall’interno, può ancora dirci qualcosa?
Due anni fa c’è stato un convegno, a Urbino, che doveva fare un po’ il punto, come si dice, su questa vicenda.
In realtà il punto non è stato fatto perché è in corso un tipo di storiografia in cui si eccede nella ricerca e nell’accumulo di documenti, che sono sempre piuttosto interessanti ma che non aggiungono molto alla conoscenza della tragedia. Sono soprattutto documenti che riguardano crisi individuali che si manifestarono prima, durante e soprattutto dopo la fine prematura del modernismo, avvenuta secondo i dettami della Santa Romana Chiesa.
Allora, va bene che si accumulino i documenti, però è un’impresa senza fine, perché se ne possono sempre trovare altri; si può anche presumere cosa dicessero i documenti andati perduti, però forse è venuto il momento di vedere cosa fu teologicamente il modernismo, al di là dell’elemento punitivo che si è esercitato su questa brava gente.
Devo dire, intanto, che io mi sono sempre dichiarato totalmente contrario a quelle definizioni del modernismo che consentono una sua ripresa nel Vaticano II; quel concilio, secondo me, col modernismo non ha proprio nulla a che fare. La motivazione che ispirò tanti esponenti modernisti non era tanto di storiografia religiosa, ma teologica primaria. Questa ispirazione, che consente un ripensamento dei dogmi, magari anche la loro eliminazione, non è assolutamente presente nella teologia contemporanea di parte cattolica; lo è molto di più, casomai, in quella di parte protestante.
C’è poi un secondo elemento che fa una distinzione enorme: una delle finalità primarie del modernismo era quella di considerare l’opportunità, la possibilità, forse anche la necessità, dell’esistenza di un’istituzione come la Chiesa, che viene costantemente rinnovata, ma mai abbastanza, al limite fino al punto di distruggersi; la qual cosa affiorava come salutare proposta modernistica finale.
... Siete esterrefatti?
Ma come può la Chiesa auto-distruggersi?
Perché no? Non è che l’ha ordinata il dottore...
Tenete presente che esistono delle forme di Chiesa che non sono attualmente riconoscibili nel momento istituzionale. Addirittura l’aspetto escatologico, millenaristico e apocalittico, che costituisce uno dei cardini fondamentali della predicazione cristiana, e precristiana, nella struttura della Chiesa non si riconosce perché è stato gradualmente messo da parte, fino al punto di essere soppresso.
Una Chiesa che non riconosca questo elemento è di per sé una novità rispetto alla predicazione cristiana; i casi sono due: o questa novità si istituisce come novità assoluta e quindi respinge da sé come errore tutto ciò che caratterizza l’attesa del Regno o altro, e va benissimo, si può anche riconoscere come tale il valore di verità della Chiesa, oppure, se mantiene questo elemento, si trova in una contraddizione radicale, perché asserisce un presente nel momento in cui aspira alla distruzione di questo presente in una situazione diversa, futura. Questa mi sembra una contraddizione che nella sensibilità religiosa attuale è assolutamente avvertita. Quei giovani che si rifugiano in situazioni esoteriche lo fanno anche perché la presenza di una Chiesa che proclama se stessa a ogni pié sospinto evidentemente è alternativa in modo radicale a un’esigenza di superamento. E, d’altra parte, questa esigenza di superamento è fondamentale in ciascuno di noi. Io credo che morirò desiderando di cambiare la mia vita e di averne una diversa, e però quest’esigenza mi deve essere garantita anche dagli elementi di novità rappresentati da un certo tipo di predicazione.
La stessa esibizione del papa è un’esibizione che avrà probabilmente un certo valore morale, ma che non ha nulla a che fare con una predicazione di verità. Assolutamente no. La mia vecchia balia diceva: "Perché il papa va sempre in giro? Per vedere e per farsi vedere." Mi sembra una definizione totalmente vera, alla quale non ci sarebbe nulla da aggiungere. Era una balia molto intelligente, romana, assolutamente incapace di leggere e di scrivere. Ma aveva ragione, e non è neanche riduttivo.
Ma qual è il presupposto teologico di questo esibizionis ...[continua]

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