Enrico Lanza è sindacalista Alp (Associazione Lavoratori Pinerolesi), Mauro Aimar e Gino Gilardi sono operai della Beloit Italia.

La vicenda della Beloit Italia è finita sulle prime pagine dei giornali soprattutto per un licenziamento collettivo avvenuto via e-mail. La situazione però è piuttosto complessa e viene da lontano. Puoi raccontarci?
Enrico Lanza. La Beloit è una ditta che fa parte di un gruppo multinazionale con casa madre e uffici direttivi negli Stati Uniti che produce macchinario per le cartiere. E’ entrata in Italia nel 1958, 40 anni fa, acquistando la Cartiera Burgo qui a Pinerolo.
Nel passato Beloit Italia produceva il suo prodotto come centro di profitto, ossia gestiva in proprio una fetta del mercato mondiale concordato con la casa madre con un bilancio proprio, con una propria struttura amministrativa e commerciale, rendendo conto alla casa madre solo attraverso il pagamento di royalties per la tecnologia utilizzata.
L’azienda ha tuttora elevate capacità produttive e tecnologiche, con un ufficio tecnico di alto livello per il calcolo e il disegno dei pezzi del nostro prodotto, un’officina che comprende una carpenteria pesante e macchine utensili in grado di lavorare pezzi di grandi dimensioni, che vengono poi montati da tecnici altamente specializzati. C’è infine un ufficio commerciale in grado di dialogare con clienti di tutto il mondo.
Purtroppo negli ultimi anni è iniziato un processo di pesante ristrutturazione che ha trasformato i vari siti, tra cui Beloit Italia, da centri di profitto autonomi a centri di costo, ossia entità aventi la sola autonomia produttiva ma senza la possibilità di acquisire e gestire in proprio gli ordini come in passato.
Questa trasformazione, accompagnata da un rapido avvicendarsi di gruppi di management, a livello di casa madre, ciascuno con una propria strategia che non seguiva il lavoro iniziato dalla precedente amministrazione, ha accentuato e accelerato una crisi già esistente. Si è così giunti alla decisione di chiudere una serie di fabbriche o di sottoporle ad amministrazione controllata. Del resto, con cifre di indebitamento vicine ai 2000 miliardi e con 40 aziende messe in liquidazione, la decisione di chiudere la Beloit Italia, arrivata il 15 settembre di quest’anno appunto via e-mail, era ormai quasi scontata. Inizialmente si era anche parlato di riduzione di personale ed eventualmente di una nuova attività perché nel processo di accentramento decisionale e di esternalizzazione del lavoro, quello che si faceva qui è stato spostato in Polonia, altro stabilimento europeo assieme a Francia, Inghilterra e Austria.
Mauro Aimar. C’è anche da dire che siccome noi nella fabbricazione di questi macchinari non lavoriamo in serie, bensì su commessa, in tutte queste fasi, quando uno sbagliava a livello di alti dirigenti americani, veniva cambiato e chi subentrava introduceva un nuovo staff e tutta una serie di procedure. Quindi c’è stata una politica dissennata, nel senso che, per esempio, uno di questi arrivava dal dirigere una multinazionale di elettrodomestici e si è messo a organizzare le Beloit come se facessimo lavatrici!
Insomma, da un certo punto in poi non si è più fatta ricerca tecnologica, e nemmeno analisi di mercato, ma tutto si è concentrato nella riorganizzazione e la cosa a un certo punto è crollata.
Enrico Lanza. E ora il dato vero è che gli americani hanno deciso di liquidare questa azienda, quindi hanno licenziato tutti, operai, impiegati e dirigenti e hanno messo in liquidazione la fabbrica. Questo è un po’ il succo della storia.
A quel punto il problema è diventato come mantenere un’attività produttiva che i proprietari, gli americani, non sono interessati a continuare.
Dall’arrivo di quel famoso e-mail tutte le nostre iniziative infatti sono state tese a trovare qualcuno disponibile a investire su di noi con un piano industriale, e a contrattare con gli americani la cessione della fabbrica coi marchi e i brevetti, azione che tra l’altro a loro converrebbe dal punto di vista economico.
Mauro Aimar. Devo dire che una conseguenza del fatto che il nostro licenziamento è avvenuto via e-mail è stata l’apertura di un nostro sito: se il mondo va così, tanto vale stare al passo.
Nell’ultimo incontro, il sindacato ha chiesto se c’era intenzione di ritirare la richiesta di messa in mobilità dei 436 dipendenti e l’azienda per il momento ha detto no.
Ora però non siamo ancora entrati in mobilità, ci sono 75 giorni di tempo, ...[continua]

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