Asher Salah insegna Italianistica all’Università ebraica di Gerusalemme e filosofia contemporanea all’Istituto di Belle Arti “Bezalel”. Oltre a numerose traduzioni dall’ebraico, tra cui recentemente per l’Einaudi le opere di A.B Yehoshua, ha pubblicato diversi studi sulla storia ebraica italiana e sulla situazione politica in Israele.

Con il governo di coalizione Sharon, la sinistra israeliana sembra essere stata fagocitata dalla destra e da Sharon. Qual è oggi la situazione in Israele?
Io credo che quando si parla di sinistra in Israele sia necessario fare una distinzione tra due grandi campi, cioè la sinistra ufficiale, ancora attaccata a una visione sionista dello Stato, che attualmente è al governo ed è rappresentata dal Partito Laburista e dal movimento capeggiato da Peres, e una nuova sinistra che propugna un radicale cambiamento istituzionale in nome di una concezione completamente laica dello Stato.
La prima sinistra, in questo ultimo anno e mezzo, da quando è scoppiata la seconda Intifada, si è mantenuta su posizioni estremamente ambigue rispetto alla soluzione del conflitto arabo-israeliano. Non solo molti militanti di base si sono trovati completamente sbalestrati e disorientati dal patto governativo con la destra, ma persino intellettuali, noti anche in Italia come Amos Oz, Abraham B. Yehoshua, David Grossman, pur favorevoli alla soluzione pacifica del conflitto con i palestinesi, sono stati sconfessati dai loro stessi rappresentanti che, in seno a un governo di coalizione cappeggiato da Sharon, hanno finito con l’accettare passivamente la politica di repressione e di appoggio agli insediamenti nei territori occupati.
Tu dici che questi sostengono la visione sionista dello Stato, e invece l’altra sinistra no?
Gli esponenti della sinistra ufficiale, se così si può dire, sostengono il programma di soluzione del conflitto arabo-israeliano propugnato dagli architetti degli Accordi di Oslo, consistente nella separazione tra due entità nazionali, da una parte lo Stato israeliano, fedele alla propria vocazione originale di Stato ebraico, dall’altra uno Stato palestinese per gli arabi. Preservare a tutti i costi l’identità ebraica e sionista dello Stato è quanto si propongono, ciascuno alla propria maniera, personalità differenti come Grossman, Yehoshua o Oz. Per loro qualunque accordo di pace deve riconoscere e mantenere intatta l’identità ebraica dello Stato di Israele.
Ora, nell’ultimo anno e mezzo -anche se in alcuni casi riprendendo un discorso anteriore- si sono invece fatte sempre più forti le voci di un’altra sinistra, una sinistra più radicale, che per vari motivi, o perché delusa per il tradimento dei leader laburisti che hanno accettato l’alleanza con Sharon, o perché legata fin dall’origine a un progetto di uno Stato completamente secolarizzato, rifiuta, nell’ambito di una soluzione del conflitto arabo-israeliano, la separazione tra i due stati. Preferisce invece difendere una soluzione d’integrazione regionale all’interno di un unico Stato senza identificazione etnica o confessionale di alcun genere. Questo dovrebbe permettere di risolvere tanto il problema dei diritti civili e politici dei palestinesi quanto la spinosa questione del rapporto tra stato e religione all’interno di Israele. Quindi uno stato laico che garantisca a ciascuno la propria autonomia culturale e libertà di pratica religiosa, cosa che attualmente de facto non c’è.
Prima di proseguire, puoi spiegare quali sono questi problemi interni a Israele?
Come è ben noto, lo Stato di Israele non ha realizzato una separazione netta tra stato e religione. Il rabbinato ortodosso ha una forte ingerenza nella legge civile israeliana, controllando l’ordinamento matrimoniale della popolazione ebraica e lo statuto della cittadinanza.
Questo, a prescindere dal problema palestinese, crea molti contrasti all’interno della società israeliana, a maggioranza laica e che mal si adatta alle restrizioni imposte dalle frange ortodosse. A ciò si aggiunge anche il conflitto latente tra i sefarditi, ebrei provenienti essenzialmente dai paesi arabi , e gli ashkenaziti, originari invece dell’Europa centrale e orientale, che detengono le redini del potere politico ed economico in Israele, fin dalla fondazione dello Stato.
A questa dicotomia etnica corrisponde una separazione socio-economica: le élites del paese sono essenzialmente ashkenazite, mentre i ceti popolari sono sefarditi. La mancata integrazione dei sefarditi nei liv ...[continua]

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