David Markus è uno dei 27 piloti che, il 24 settembre 2003, in una lettera al capo delle Forze aeree israeliane, generale Dan Halutz, hanno pubblicamente annunciato l’intenzione di rifiutarsi di prendere parte a bombardamenti o agli “omicidi mirati” nei Territori palestinesi.

Quanti anni ha studiato per diventare pilota?
Ho 54 anni. Sono entrato nell’aeronautica nel 1968, diventando pilota da combattimento nel 1970. Sono rimasto in servizio attivo fino al 1974. Poi, fino al 1996, ho fatto il pilota da combattimento della riserva per almeno 60 giorni all’anno. In tutto ho volato circa tremila ore, cifra ritenuta piuttosto alta, se si considera che una missione dura in media fra i 20 e i 40 minuti.
Perché ha fatto il pilota? Cosa le piace di questo lavoro?
Innanzitutto quando sono entrato nell’aeronautica era il 1968, cioè l’anno dopo la Guerra dei sei giorni. Premetto che i miei genitori appartengono alla generazione che fondò lo Stato di Israele. Insomma, per il modo in cui sono cresciuto, dovevo dare il mio contributo al Paese. Del volo non sapevo assolutamente nulla. Non ero uno di quei bambini che già da piccoli sognavano di fare il pilota. Ma ci ho provato, ci sono riuscito e, facendo questo lavoro, ho imparato ad amarlo. E’ qualcosa di unico, che non si può spiegare a parole, un’esperienza che bisogna fare per poter capire quanto sia magnifica. Il solo problema con il volo è che si va ad uccidere. Se non fosse per questo, per me sarebbe il lavoro perfetto. Confesso anche che se mio figlio maggiore, che oggi ha 21 anni, due anni fa mi avesse chiesto, dovendo entrare nell’esercito, se lo avrei appoggiato nella scelta dell’aeronautica, gli avrei risposto di no.
Perché?
Perché la situazione oggi è cambiata moltissimo rispetto a trent’anni fa: allora i nostri genitori erano convinti della direzione nella quale stavano andando; mentre io sono cresciuto pieno di dubbi, mai sicuro al cento per cento di essere nel giusto. E i miei figli sono cresciuti allo stesso modo: con l’idea che c’è più di una giustizia, non solo quella degli israeliani, ma anche quella del popolo palestinese. Se avessi 18 anni oggi e dovessi scegliere, probabilmente non rientrerei in aeronautica.
Quando, per la prima volta, ha dubitato della legittimità delle missioni?
Durante la drammatica guerra del 1973 ero il più giovane pilota d’addestramento. E’ stato proprio in quella circostanza che ho capito dove dovevo schierarmi dal punto di vista politico, morale e umano. Successivamente, ho fondato con altri 7-8 il movimento Peace Now in Israele, che nel 1979 spinse l’allora primo ministro Begin a un accordo di pace con l’Egitto. Nella guerra in Libano sono stato uno dei pochissimi piloti che si è rifiutato di bombardare le zone abitate.
All’epoca della guerra del Libano, era difficile prendere posizione pubblicamente contro l’intervento?
Sì, penso che lo fosse. Infatti pochissime persone lo fecero. Ricordo il caso di qualche politico di sinistra. Come ricordo un comandante di battaglione che avrebbe dovuto entrare a Beirut e, ad un certo punto, si rifiutò. Ma si trattò di un’eccezione.
Dalla mia esperienza, posso dire che la prima volta in cui mi rifiutai - era l’82 - facevo già parte della riserva. Essendo stato fra i fondatori di Peace Now, la gente che mi circondava conosceva la mia opinione. Nessuno era nella posizione di costringermi a volare, o a fare cose che non ero disposto a fare. In Israele utilizzavamo l’espressione grey refusal (rifiuto grigio): nessuno prendeva posizione pubblicamente, ma c’era una sorta di tacito accordo tra il pilota e il suo comandante. Ad ogni modo quando scoppiò la guerra del Libano, mi richiamarono in servizio, ma due o tre giorni dopo ritornai a casa e ripresi la vita di prima. Fu molto più facile per tutti, me compreso, lasciare che le cose andassero in quel modo.
Si ricorda qual è stata la reazione del suo comandante?
Dato che io ero conosciuto come un tipo strano -e cioè come uno che non sta mai col gregge- e dato che ero stato uno dei firmatari di una lettera che nel 1979 aveva fatto altrettanto scalpore di questa di un anno e mezzo fa, tutti sapevano benissimo che i miei principi mi avrebbero portato a questo rifiuto. E, dunque, non si stupirono.
Non ho avuto problemi nemmeno col mio comandante che, tra l’altro, era più giovane di me. Io, all’epoca, facevo l’istruttore della scuola di volo, mi conosceva da tempo. Sapeva che se fossimo stati davvero in pericolo, avrebbe ...[continua]

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