Ephraim Kleiman, professore Emerito di Economia presso l’Università ebraica di Gerusalemme e collaboratore di Ha’aretz, è stato consulente economico per il governo israeliano durante i negoziati con l’Olp del 1993-94 a Parigi. L’intervista è stata fatta qualche tempo prima che cominciasse il ritiro unilaterale di Israele da Gaza.

In che stato è l’economia palestinese?
La situazione attuale è senz’altro il risultato di tutti questi anni di Occupazione israeliana; con tutto il dibattito che ne consegue -se tutto ciò sia stato e sia necessario e legittimo- ma anche con l’inevitabile, e innegabile, sviluppo socioeconomico che ne è derivato.
E’ un aspetto, questo, oggi dimenticato, ma durante i primi vent’anni di Occupazione, i palestinesi vissero una sorta di rivoluzione sociale: gente che prima non aveva mai avuto soldi per le mani, che per la sopravvivenza era sempre dipesa dal locale proprietario terriero o dall’usuraio di turno, si trovò per la prima volta a maneggiare denaro proprio.
E’ emblematico, a questo proposito, che il manifesto che portò alla prima Intifada, fosse stato scritto da due fratelli, che di mestiere facevano gli elettricisti, ma che in realtà erano anche attivisti di un piccolo partito di sinistra, avevano quindi una coscienza politica. Beh, che due elettricisti potessero scrivere il manifesto di un movimento politico vent’anni prima sarebbe stato addirittura inconcepibile.
Ci può dare qualche dato di questo sviluppo?
Basti dire che negli anni tra il 1969 e il 1992 il prodotto nazionale lordo (Gdp) crebbe, in termini reali (ovvero tenendo conto dell’inflazione) del 5,7% in media all’anno, contro il 2,4% di Israele, e nel 1992 era quasi quadruplicato rispetto al 1968 (contro il raddoppio in Israele). Tale crescita, soprattutto nell’area di Gaza, fu senz’altro il risultato dei salari dei palestinesi impiegati in Israele, però anche le attività economiche interne in quegli anni conobbero un intenso sviluppo: il prodotto interno lordo -al netto di questi salari- cresceva del 4,2% all’anno (2,8% per Israele), e il Gdp per persona nel 1992 era 2,7 volte quello del 1968.
Va da sé che tutto questo non va letto come una giustificazione dell’Occupazione, in quanto è semplicemente il frutto di leggi economiche: un’economia più povera e di piccole dimensioni che si integra (in questo caso in maniera forzata e ineguale) con una più ricca e più grande .
La seconda metà degli anni Novanta, poi fu addirittura sorprendente. Dopo il ’96, che io chiamo l’anno orribilis, l’economia palestinese aveva cominciato a svilupparsi, in modo rapido e fors’anche inaspettato, soprattutto in concomitanza con il diradarsi degli attentati suicidi, e il numero degli occupati era aumentato in modo rilevante. Addirittura, nel 2000, il numero dei palestinesi che lavoravano in Israele è stato il più alto di tutta la storia. Certo, sempre una piccola percentuale (il 7% circa sulla forza lavoro israeliana) ma insomma…
Le origini di questo sviluppo?
E’ stato un movimento partito nel ’67, con la guerra dei Sei giorni. All’indomani della guerra, le piccole economie palestinesi di Gaza e del West Bank si erano trovate ad essere in qualche modo integrate all’economia, certamente più fiorente, di Israele, e il risultato fu un rapido aumento delle entrate, perlopiù provenienti dalle rimesse dei palestinesi che lavoravano in Israele, ma in parte anche legate allo sviluppo di attività economiche locali, specie nel West Bank. La gente oggi ha dimenticato, ma fino al 1993 ci fu una totale libertà di movimento di persone, prodotti, veicoli, tra Israele e i Territori palestinesi, se si eccettuano le sei settimane di quella che in Occidente viene chiamata la Prima guerra del Golfo (in realtà, più correttamente, quella è la Seconda, perché la prima è stata quella tra Iran e Iraq). A questo proposito cito un episodio: alla fine degli anni Ottanta, si tenne nei Paesi Bassi un incontro di economisti, palestinesi e del mondo arabo, aperto ai media e a partecipanti esterni, sull’economia di Gaza. A un certo punto prese la parola un’ebrea americana che si era trasferita a vivere a Gaza, che con grande empatia riferì delle difficili condizioni di vita e dell’orribile trattamento riservato agli abitanti di Gaza. Dopo di lei parlò Aoun A-Shawa, anche lui economista, che poi sarebbe diventato sindaco di Gaza (è mancato lo scorso anno). Aoun si alzò e disse: “Tra il 1968 e il 1986 la Striscia di Gaza ha vissuto un periodo di pr ...[continua]

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