Daniele Cologna, sociologo e sinologo, è ricercatore presso l’agenzia di ricerche sociali Codici di Milano. Ha lavorato a lungo come mediatore culturale per i servizi territoriali del comune di Milano ed è tra gli autori della prima ricerca italiana sui figli dell’immigrazione (Milano 2001). Da alcuni anni si occupa prevalentemente di immigrazione latinoamericana.

Tu fai ricerca applicata, di cosa si tratta?
Di una ricerca che non matura all’interno di un ambiente accademico e che quindi, pur restando sensibile a istanze di tipo teorico, parte da considerazioni legate alle logiche d’intervento e allo sviluppo delle politiche, non limitandosi semplicemente allo studio del fenomeno. Il ruolo dei soggetti della ricerca diventa quindi fondamentale. Prendiamo ad esempio il progetto Parques, realizzato col finanziamento della legge 40 per conto dell’associazione culturale ecuadoriana Mitad del mundo su incarico del Consolato generale dell’Ecuador di Milano.
La ricerca, rivolta agli adulti, riguardava la loro socialità e aveva appunto come cornice d’intervento i parchi pubblici dove si incontrano abitualmente a Milano. Tra gli obiettivi c’erano anche l’educazione alla salute e la prevenzione dall’abuso di sostanze, di alcol in particolare, da realizzare attraverso il reclutamento e la formazione di un gruppo di operatori naturali, cioè di persone di nazionalità ecuadoriana, che potessero agire all’interno di questi contesti per proporre delle forme di riflessione collettiva sui danni diretti e indiretti provocati dall’abuso di alcol, intendendo per danni indiretti il fatto che certi comportamenti andavano a intaccare l’immagine pubblica della comunità promuovendo fenomeni di stigmatizzazione e di esclusione sociale. In quel caso dalla ricerca era emerso come, dietro l’abuso di sostanze, ci fossero disagi profondi che riguardavano le condizioni di lavoro o la sfera familiare, i rapporti uomo-donna, i rapporti di coppia, i problemi legati alle maternità precoci. Insomma, man mano che cresceva la complessità delle implicazioni dell’epifenomeno abuso di alcol, si capiva quanto fosse importante che, per esempio, si diffondesse tra gli adulti ecuadoriani la consapevolezza della necessità di un lavoro sociale portato avanti anche da loro stessi e della possibilità di interagire con soggetti italiani per poter intervenire in quest’ambito.
La nostra ambizione era dunque di avere una funzione maieutica per dare vita a un terzo settore costruito da immigrati e autoctoni in una logica che portasse allo sviluppo di associazioni o forme di organizzazione per agire su specifici problemi, che so, gruppi di donne attive sulle dinamiche di genere, gruppi di advocacy che si occupassero di questioni relative al mercato del lavoro, gruppi di genitori che riflettessero sul distacco che si va creando fra le generazioni adulte e quelle più giovani. Per ora abbiamo buttato dei semi e stiamo cercando di accompagnarne la crescita. Sicuramente il messaggio è passato, si è capito che c’è la possibilità di cambiare le cose e che tutto il discorso dell’agency o dell’advocacy può anche non essere ridotto alle competenze di consulte e altre organizzazioni onnicomprensive.
Ci pare infatti più interessante e produttiva la logica del mettersi insieme per fare qualcosa, appoggiandosi a quei soggetti esterni che possono dare delle informazioni su come gestire al meglio le iniziative, per esempio come candidare progetti, come trovare finanziamenti, con chi tessere relazioni utili al sostegno dei progetti stessi. E’ un processo lungo che bisognerà valutare nel tempo, ma sicuramente ha generato un fortissimo interesse. Gli operatori naturali che avevamo formato sono diventati punti di riferimento per gruppi di lavoro che stanno producendo una propria riflessione su questi temi. Sono nate delle associazioni che iniziano a muoversi consapevolmente nel terzo settore, creandosi competenze e network di partner possibili nei differenti contesti locali. E’ già un grosso passo avanti rispetto alla pressoché totale incomprensione del contesto che regnava prima.
Qual è il livello medio dei partecipanti e che competenze hanno?
L’emigrazione latinoamericana, parlo soprattutto di quella originaria dell’area andina e dell’Ecuador, è un fenomeno di massa. Ci troviamo quindi ad avere a che fare con gente che ha ogni genere di background. Tra i partecipanti c’era anche chi aveva già un’esperienza di volontariato sociale o di attivismo politico; altr ...[continua]

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