Una città n. 283

una città 16 cosa sta succedendo Da una quarantina d’anni mi occupo professionalmente e -cosa anche peggiore!- insegno ad altri la cultura, la storia, la letteratura e la lingua polacca. Ma noi slavisti italiani, e in genere gli slavisti cosiddetti occidentali, almeno quelli della mia generazione, siamo abituati a considerare e studiare tutte le culture slave da un punto di vista unitario. Anche da questo punto di vista molto secondario, la guerra di Putin è una tragica follia, e così nelle scorse settimane i vari comitati nazionali hanno annullato e stabilito di rinviare sine die il Congresso Mondiale degli Slavisti previsto a Parigi per il prossimo anno. Nel gennaio 1946, finita la Seconda guerra mondiale, il “padre fondatore” dei nostri studi, Giovanni Maver, per il quale nel 1929 era stata creata la prima Cattedra di polonistica in Italia alla “Sapienza” di Roma, pubblicava un articolo fondamentale intitolato “Gli slavi: ciò che li unisce e ciò che li separa”. L’articolo di Maver era apparso sulla rivista “Europa”, fondata dallo storico Pier Fausto Palumbo, dirigente del Movimento Federalista Europeo. L’idea portante di Palumbo e della rivista era quella di un’Europa ricostruita aperta ai Paesi socialisti e non “un’Europa antemurale dell’America”. L’articolo programmatico di Maver s’inseriva pienamente in quell’idea, chiedendosi “se l’innegabile antagonismo religioso e culturale tra gli slavi ortodossi e gli slavi cattolici, tra l’Oriente bizantino ed eurasiatico e l’Occidente germanico-latino abbia maggiore importanza di quei fattori unitari la cui presenza, di qua e di là di tale barriera, è avvertita da slavi e non slavi, anche se non è facile definirli chiaramente e meno ancora coglierne la vera portata”. Insomma, alle divisioni della geo-politica si potevano (si possono) sempre opporre i motivi unitari della cultura. Sulla scia di questo insegnamento di Maver e dei suoi allievi Riccardo Picchio e Sante Graciotti, ma restringendo il campo alle sole due culture antagoniste, Russia e Polonia, all’ineguale disputa tra il borioso polacco e il russo fedele (come l’aveva chiamata Pushkin nella sua arrogante ode “Ai calunniatori della Russia”, trad. E. Lo Gatto), un tema di cui molti si erano occupati prima e assai meglio di me, anni fa decisi tuttavia di pubblicare un libretto intitolato Tra Oriente europeo e Occidente slavo (Lithos editrice, Roma 2008), che conteneva inevitabilmente un capitolo sull’Ucraina, intitolato “La fascia mediana fra le due Slavie: Rutenia e Ucraina”. Ruthenia è l’antico nome latino di tutta quella zona di cui oggi Putin, e prima di lui Ivan il Terribile e Stalin, vorrebbero appropriarsi, adducendo false motivazioni storiosofiche, perché quelle terre non sono mai state (solo) russe. Oggi comprendono parte dei territori dell’Ucraina, della Bielorussia, della Russia, della Polonia (i vecchi “kresy”), della Moldavia e una piccola parte del nordest della Slovacchia, e da sempre sono state culla di lingue, culture, religioni, espressioni artistiche le più diverse: queste terre sono state da sempre fertili non solo di grano, ma anche di artisti, di scrittori e di libri: in quel territorio, a Kyiv, ma anche in certe altre zone ulteriormente “di frontiera” (la Galizia, la Bucovina, la regione di Odessa, la Crimea, e la parte settentrionale, confinante oggi con la Bielorussia e un tempo con la Lituania storica), sono nati alcuni fra i maggiori scrittori e artisti europei ed extraeuropei: Nikolaj Gogol’, Joseph Conrad, Sholem Aleichem, Michail Bulgakov, Isaac Babel’, Anna Achmatova, Vasilij Grossman, Joseph Roth, Paul Celan, Shmuel Yosef Agnon, premio Nobel 1966 (e con lui molti altri scrittori yiddish e israeliani), Jaroslaw Iwaszkiewicz, Zbigniew Herbert, Stanislaw Jerzy Lec, Adam Zagajewski, Stanislaw Lem… E ancora Kazimir Malevitch, Vaclav Nižinskij, Vladimir Horovitz... La lista sarebbe lunghissima. Questi scrittori e artisti hanno scritto e pubblicato le loro opere in russo, in inglese, in tedesco, in yiddish, in ebraico, in rusyno, in armeno, in polacco… Hanno suonato, danzato, e sono esposti nei musei di tutto il mondo… E che dire poi della grande letteratura e arte ucraina, che è ancora troppo poco conosciuta, come purtroppo capita alle culture considerate “minori” perché egemonizzate da culture “imperiali” e per questo considerate “maggiori”, e che magari vengono riscoperte proprio in momenti drammatici e tristi come quello che stiamo vivendo… Andai per la prima e unica volta a Kyiv nel 1994, e mi innamorai letteralmente di quella città meravigliosa e di quella gente: qualcuno da qualche parte ha scritto che l’Ucraina ha le donne e gli uomini più belli d’Europa. Era un convegno italo-ucraino intitolato, guarda caso, “L’Ucraina del XVII secolo tra Occidente ed Oriente d’Europa”. Un destino quel “tra”, che mi fa pensare a tanti altri “tra” che nella storia (e nelle vite delle persone) sono sempre stati causa di grande ricchezza, ma anche di grandi sventure! La città e tutta l’Ucraina si stava lentamente risollevando dai decenni della miseria sovietica, se ne vedevano ancora i segni, assieme ai fasti di una civiltà antica, risalente ai primordi dell’Europa cristiana, e poi il barocco, i parchi, le strade ampie, qualche caffè coi tavolini fuori e la gente, soprattutto la gente, coi suoi sorrisi! In quel convegno parlai dell’opera in lingua polacca di uno scrittore bielorusso che, dopo aver studiato all’Accademia di Kyiv, si sarebbe trasferito a Mosca diventando il massimo artefice del barocco letterario russo, ponendo proprio lui, imitatore di Jan Kochanowski e dei poeti mediolatini, le basi della “prima occidentalizzazione” della cultura e letteratura russa. Per me, Simiaon Polacki rappresentava in un certo senso la potenza unificante dell’arte e della cultura al di sopra di ogni possibile divisione politica ed etnico-religiosa fra gli uomini e i popoli. E questo poteva avvenire perché la Rutenia/Ucraina è stata la principale e pressoché unica area culturale dell’Europa bizantina ad aver incorporato il latino come una delle proprie stesse lingue di cultura. Andammo con dei professori e altra gente fuori Kyiv a visitare un osservatorio astronomico in mezzo a una foresta, e poi a pranzo, un pranzo slavo, con vodka e canti. Mi fecero fare un brinnon “La Russia cambia il mondo”, come ha titolato“Limes”, ma “l’Ucraina cambia il mondo”! L’UCRAINA CAMBIA IL MONDO di Luigi Marinelli

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