Una città n. 283

una città 18 Maxim Grebenyuk, avvocato che vive a Mosca, ha fondato Military Ombudsman, sito che aiuta i soldati russi che si rifiutano di combattere in Ucraina a difendere i propri diritti. Com’è nato il progetto del “Military Ombudsman”? All’epoca ero arruolato, prima come medico, nelle brigate della marina della Flotta del Nord. In seguito ho ottenuto online una laurea in diritto, con lode, e il mio comandante di brigata mi ha chiesto di assisterlo sulle questioni legali. Ho cominciato aiutando il comandate e i soldati della brigata, portando avanti per loro cause legali al fine di far rispettare i loro diritti. Una volta avuto il congedo, mi sono trasferito all’ufficio del procuratore militare, dove sono rimasto dieci anni. Ero responsabile degli aspetti sociali, ambito in cui ci si dedica all’assistenza ai soldati. Ho sempre cercato di essere molto attento alle loro lamentele. Ho creato la piattaforma social “Military Ombudsman” quando ancora lavoravo al fianco del procuratore militare, ma inizialmente comparivo sul sito solo come amministratore anonimo. Fornivo assistenza pro-bono al personale militare. Nel dicembre 2021 mi sono dimesso dall’ufficio del procuratore militare e ho superato l’esame di abilitazione alla professione di avvocato nel Primorsky Krai (il Territorio del Litorale, regione che affaccia sul mar del Giappone). Ora vivo e lavoro a Mosca con la mia famiglia, e mi sono specializzato in diatribe legali militari. Perché ti sei dimesso dall’ufficio del procuratore? L’ufficio del procuratore militare dovrebbe dedicarsi alla protezione del personale militare e dei suoi diritti, ma in realtà la sua priorità è proteggere l’interesse di stato e il budget militare. Quando c’è qualche tensione fra gli interessi statali e i diritti del personale militare, il procuratore si schiera sempre con lo stato. Io, invece, volevo tutelare i diritti dei soldati, cosa che trovavo ben più interessante. Mi sono dimesso un anno e mezzo fa, nel bel mezzo di un periodo di grandi proteste. Parli delle proteste pro-Navalny? Sì, fu all’epoca che compresi che dovevo davvero cambiare qualcosa nella mia vita. Come avvocato e funzionario dell’ufficio del procuratore sono sempre stato molto interessato alle indagini di Navalny sulla corruzione. I documenti e le prove su cui queste erano basate mi sembravano impeccabili dal punto di vista legale. Sareste sorpresi di scoprire quanti miei colleghi fossero concordi con me in merito. Il suo avvelenamento e l’arresto furono l’ultima goccia, per me. Compresi che non potevo più lavorare dalla parte della giustizia di stato. Prima di allora pensavo di poter esercitare una qualche pressione dall’interno e aiutare al contempo le persone, ma mi sbagliavo. Alla fine mi resi conto che il sistema era in grado di masticarti e sputarti via appena l’avesse ritenuto necessario, e così decisi di andarmene. Perché il nome “Military Ombudsman”? Fui ispirato da “Police Ombudsman”, un progetto di Vladimir Vorontsov. L’ho sempre seguito e lo faccio ancora. Credo che Vorontsov, così come Navalny, sia un prigioniero dotato di coscienza. Non temi di subire incriminazioni penali a causa del tuo lavoro, come accaduto a Vorontsov? Certo, ma per me la verità conta di più. Quali sono i problemi che ti sottopongono i soldati? Ora, come anche prima del conflitto, ci sono soprattutto problemi con gli approvvigionamenti alimentari. Per esempio, ultimamente ho pubblicato un post su soldati che hanno ricevuto razioni di cibo ben oltre la loro data di scadenza. Mi contattano anche molti feriti in battaglia, gente che soffre di trauma cranico. Hanno ricevuto un minimo di cure, un po’ di fluidi per idratarsi e poi gli è stato detto di tornare in battaglia. Loro si sono rifiutati, hanno preteso di ricevere cure adeguate prima di essere schierati nuovamente, ma si sono sentiti dire: “Allora non hai capito. La Madrepatria è in pericolo, va’ e fai il tuo dovere”. Aiuto anche loro: andiamo in tribunale, richiedendo che ricevano i giusti trattamenti sanitari. Credo che non dovremmo mandare i soldati incontro a morte certa. È la mia opinione personale. Ma come avvocato, sono comunque dalla parte della legge, e capisco anche i soldati che sono andati a combattere seguendo gli ordini. Sono tanti i soldati che ti cercano? Ora molto più che in passato. Alcuni, per essersi rifiutati di partecipare all’“Operazione militare speciale”, vengono congedati e basta, altri vengono anche minacciati di azioni penali, cosa che non dovrebbe essere assolutamente possibile. I superiori, nel congedarli, rincarano la dose dando loro dei “disertori” e dei “traditori”. Quando mi scrivono, o mi chiamano, i soldati sono molto spaventati. Parliamo di problemi davvero importanti, e sono tanti in questa situazione. Hai avuto contatti anche con i soldati di leva mandati a combattere in Ucraina? Certo. In qualità di avvocato ho visitato la regione di Bryansk, vicino al confine bielorusso e ucraino. Lì ho incontrato la madre di un soldato di leva, la cui unità è vicina al confine, che era terrorizzata all’idea che il figlio venisse schierato in Ucraina. Così, sono andato a trovare quel soldato, insieme a sua madre, direttamente alla sua base, e ho discusso con il suo comandate sull’esistenza di un decreto del comandante in capo che fa divieto di schierare soldati di leva nell’“operazione speciale” in Ucraina. Il comandante mi è stato a sentire e il soldato è rimasto di stanza nella base. cosa sta succedendo i resoconti mediatici finirebbero per minare l’autorità del comando, se il caso divenisse pubblico LA MORSA DI FERRO DELLA MADREPATRIA Mentre la guerra della Russia all’Ucraina continua a imperversare, sulla stampa affiorano sempre più storie di soldati russi che si rifiutano di svolgere il servizio militare per non partecipare alle battaglie; casi di alto profilo, o molto numerosi, di diserzioni per insufficienti cure o per informazioni scorrette sulle missioni; un sistema che, per tutelare la segretezza sul reale rendimento dell’esercito, evita le controversie legali. Intervista a Maxim Grebenyuk.

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