Una città n. 283

una città 41 lettere, rubriche, interventi riequilibrare il sistema (come dovremo agire noi come studio legale per il caso dei lavoratori di cui sopra). Purtroppo nel nostro sistema insistono contratti collettivi caratterizzati da retribuzioni estremamente basse, specie per i livelli inferiori relativi alla classificazione del personale. Peraltro, alcuni di questi contratti (come il Ccnl multiservizi e il Ccnl servizi fiduciari) riguardano ambiti di applicazione estremamente vasti. Ciò fa sì che essi, proprio per la loro convenienza economica, abbiano la propensione a cannibalizzare settori laddove dovrebbero applicarsi i tipici contratti di categoria dello stesso sistema confederale, ma più costosi. Per esempio, la stessa giurisprudenza ha, più volte, censurato la conformità ai principi dell’art. 36 Cost. del Ccnl servizi fiduciari. In sostanza, da tempo si sospetta che i Ccnl e/o altri prodotti di natura negoziale di provenienza sindacale (ancorché frutto del lavoro delle organizzazioni “comparativamente più rappresentative” e altre) manifestino soprattutto sul versante retributivo (ma non solo) una inadeguatezza ex art. 36 Cost. per ritenere dignitosa la retribuzione afferente in particolare le mansioni più generaliste e basilari, quelle più deboli. La proliferazione dei Ccnl e delle sigle sindacali prive di riconoscimento della personalità giuridica, vale a dire mantenutesi a livello di associazioni non riconosciute così come regolate dagli artt. 36 e seguenti del Codice Civile, purtroppo parrebbe avere permesso una sorta di concorrenza al ribasso in merito alla effettiva rappresentanza dei lavoratori, oltreché una certa pochezza contrattuale sotto il profilo qualitativo. Ma è sotto il profilo della quantità di denaro che viene riconosciuta nel salariobase dei Ccnl, in particolar modo in alcuni, che l’insufficienza retributiva manifesta la debolezza contrattuale del sindacato, soprattutto in determinati comparti lavorativi che hanno goduto di enorme proliferazione negli ultimi anni (sicurezza, commercio, logistica e trasporti). Riversare in accordi aziendali o individuali riconoscimenti che avvicinino la retribuzione alla dignità richiamata dalla norma costituzionale non appare sufficiente a sanare un problema di fondo che è meritevole di introduzione di un salario minimo generalizzato non derogabile al ribasso dalla stessa contrattazione collettiva. La particolare timidezza in materia di Oo.Ss. e Organizzazioni imprenditoriali deve essere superata da un intervento legislativo attuabile mediante una Commissione indipendente che intervenga ex officio sulla materia. L’esempio europeo attuale aiuta: su 27 paesi dell’Unione Europea attualmente 21 hanno adottato questa misura, mentre solo Italia, Danimarca, Cipro, Svezia, Austria e Finlandia non l’hanno ancora fatto (Fonte Eurostat al 01/01/22). L’introduzione di strumenti di applicazione di un salario minimo tali da aiutare la contrattazione collettiva, e non quindi deprimerla come paiono lamentare alcune dichiarazioni di sindacalisti, avrebbe, come da esempi europei virtuosi, l’effetto di aumentare la retribuzione diminuendo lo sfruttamento lavorativo. Per l’effetto, il beneficio evidentemente sarebbe generale. Nel frattempo noi attendiamo la fissazione della prima udienza del procedimento instaurato per i lavoratori sottopagati; l’azienda non ha risposto alla richiesta di perequazione retributiva: speriamo di arrivare a una sentenza favorevole (certa) prima che la Società datrice di lavoro risulti scomparsa. Da una quindicina di anni ho rapporti significativi con l’Università statale di San Pietroburgo ed in particolare con la sua Facoltà di Filosofia, che tra il 2006 e il 2008 ha lavorato per la costituzione di un Corso di laurea in Cultura italiana. La fase preparatoria ebbe il suo momento culminante in un tour compiuto presso alcune delle principali università italiane da un gruppo di docenti dell’Ateneo pietroburghese per presentare e discutere il piano di studi del nuovo Corso di laurea. La prima tappa del viaggio fu costituita dalla allora Facoltà di Scienze politiche di Torino dove incontrarono il preside, alcuni docenti, oltre a me, che ero promotore del colloquio. Esaminando e discutendo il piano didattico ci rendemmo conto che il Corso di laurea in Cultura italiana dell’Università di San Pietroburgo non aveva nulla da invidiare ad analoghi insegnamenti impartiti presso titolate università inglesi e americane. Veniva offerta una visione molto ricca e complessa, tale da rendere conto in maniera adeguata delle principali articolazioni della realtà italiana dalla politica alla società, dall’economia all’arte, dalla filosofia alla religione, dalla lingua alle tradizioni, alla cultura materiale. I corsi sono iniziati nel 2009. Fui quindi promotore e responsabile per l’Ateneo torinese dei rapporti con l’Università statale di San Pietroburgo, presso la quale fui poi visiting professor nel 2013. Conosco quindi abbastanza bene la realtà russa. Qualche anno fa, alcuni docenti russi, di fronte all’evoluzione verso posizioni autoritarie di Putin, non ben percepite dalla opinione pubblica in Occidente, mi avevano chiesto consiglio circa l’opportunità di una loro eventuale scelta di lasciare la loro terra. Li avevo sconsigliati: a mio giudizio non c’era un futuro per la Russia se i suoi intellettuali progressisti l’avessero abbandonata. Ora sono pentito di quel consiglio, ma non potevo certo prevedere un esito drammatico come quello attuale. Quasi tre mesi prima che scoppiasse il conflitto, mi parlavano di una persuasione diffusa, alimentata dai media ufficiali, che la Russia avrebbe invaso l’Ucraina, speravano che ciò non succedesse, ma erano preoccupati. Sin dai primi giorni dopo l’invasione ero angosciato per i rischi che per le loro posizioni i miei amici e colleghi correvano, di perdere il lavoro o di venire incarcerati. La loro preoccupazione maggiore, come la percepivo, era tuttavia quella di venire isolati sul piano culturale, che la Russia diventasse una sorta di gigantesca Corea del Nord, il che sarebbe stato davvero terribile. La cultura per sua natura non conosce confini, cresce attraverso la comunicazione continua, il confronto e il dialogo. Pensiamo ai contributi che la cultura russa ha recato a quella italiana in campo scientifico coi suoi premi Nobel, in campo artistico e letterario. Pensiamo all’apporto grandissimo recato dalla cultura italiana a quella russa attraverso le arti figurative, il teatro, la musica amatissima, sino alla cultura alimentare, che era diventata negli ultimi anni un riferimento e un modello da imitare. Come noto, grandissima è stata l’influenza degli architetti Il teatro, la musica amatissima... di Bartolo Gariglio

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