una città - n. 295 - settembre 2023

una città 11 il convegno del ‘92 ebbe luogo il 20 gennaio del 1942, fu deciso che tutti gli ebrei d’Europa, i sopravvissuti ai bagni di sangue della Russia, della Polonia, e anche quelli dell’Europa occidentale, dovessero finire in un unico luogo. Fu scelto Auschwitz, in Alta Slesia, un territorio polacco protetto rispetto agli Alleati che intanto stavano combattendo contro la Germania (dalla Polonia difficilmente trapelavano le notizie). Questo campo funzionava già per i prigionieri di guerra sovietici e come campo di punizione per i polacchi antinazisti. In una sua parte, chiamata Birkenau, a qualche chilometro di distanza, nel circondario, fu creato un gigantesco luogo dotato di tutti i moderni sistemi per dare la morte. Questo nuovo campo si chiamò Auschwitz-Birkenau. Lì furono costruiti, con grandissima rapidità, dei nuovi impianti che consistevano in giganteschi saloni -chiamiamoli così- che servivano per “gasare” le persone; avevano le porte stagne, era stato studiato tutto il sistema di aerazione. Quindi non sono responsabili solo coloro che ordinarono di fare questo campo: ci furono schiere di ingegneri che studiarono le strutture per lo sterminio, ci fu l’azienda che le costruì. Queste camere a gas potevano uccidere qualche migliaio di persone in una sola volta, dopodiché i corpi venivano cremati da degli addetti. Arrivavano ad Auschwitz-Birkenau giornalmente decine di treni da tutta Europa; le persone venivano arrestate nei loro luoghi di residenza dalla polizia tedesca o, in certi casi, dalla polizia locale. E così veniamo all’Italia. Chi arrestò queste persone? Chi riuscì a trovarle, a rintracciarle? Perché anche questo è un problema. Mentre nell’Europa dell’est gli ebrei hanno una cultura particolare, una lingua particolare, che è l’yiddish, qualche volta si vestono anche in maniera particolare, hanno queste barbe, sono facilmente riconoscibili -lo erano perlomeno quando ce n’erano-, nell’Europa occidentale c’era una grandissima integrazione, anche a livello di costumi e di cultura, per cui un ebreo che passava per la strada non era assolutamente riconoscibile. Per questo motivo, in tutti i paesi occupati, i nazisti si preoccuparono di avere degli alleati. La polizia tedesca non era assolutamente sufficiente per rintracciare tutte le persone che dovevano essere arrestate, portate in un campo di internamento e di transito e, quando il loro numero era sufficiente, mandate ad Auschwitz-Birkenau. Sicché, anche in Italia, la polizia tedesca dovette giocoforza appoggiarsi alla polizia italiana. Questo lavoro, il recupero di queste persone, di queste personalità è, prima di tutto, un lavoro di tipo morale, ha una valenza morale prima ancora che storiografica: quella di riuscire a ritrovare i nomi di tutti coloro che erano destinati a scomparire nel nulla. È quindi un lavoro che va nel senso contrario a quello desiderato dai nazisti, è un lavoro antinazista per eccellenza. È inoltre per noi un richiamo alla nostra coscienza, alla nostra memoria e alla loro memoria. Questo lavoro è stato fatto per tredici lunghi anni, per arrivare a queste settecento pagine, che sono pagine ossessive, dolenti, che contengono questo elenco forse un po’ ripetitivo, ma si è voluto farlo ripetitivo, ossessionante, ossessivo, cosicché il lettore abbia l’idea, quando apre il libro, che anche in Italia c’è stato un gigantesco disastro, che queste sono pagine e pagine e queste sono persone e persone, e questi sono bambini e bambini. Nel corso di questo lavoro il Centro di Documentazione Ebraica ha avuto la possibilità di vedere moltissimi documenti. Per una fortunata coincidenza, nel 1971 in Germania iniziò il processo contro un criminale tedesco che si era macchiato di crimini in Italia, Friedrich Bosshammer, e la Procura di Stato di Berlino chiese al mio centro studi di cercare tutte le prove a carico per accusarlo. In questo modo ottenemmo i permessi di accesso per gli archivi di stato, permessi che per allora, nel 1970, era assolutamente impossibile ottenere. Così riuscimmo a vedere i fondi della questura e della prefettura di vari archivi di stato periferici. Ricercando le prove a carico di questo persecutore, ritrovammo centinaia di documenti e moltissimi erano ordini di arresto di questo o di quell’ebreo nelle varie province. Ordini di arresto che non sono affatto firmati da tedeschi, ma da questori e prefetti della Repubblica Sociale Italiana. Dovemmo rendercene conto e forse fino ad allora non l’avevamo fatto. La persecuzione antiebraica in Italia ebbe, sì, una fase iniziale tedesca. A Roma ci fu il

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