una città 12 il convegno del ‘92 rastrellamento del ghetto -molti film e molti libri vi sono dedicati- che avvenne il 16 ottobre del 1943: i tedeschi arrivarono a Roma e agirono nel giro di ventiquattro ore con un rastrellamento ferocissimo, di sorpresa, penetrando nelle case alle cinque del mattino, sfondando le porte, portando via la gente che ancora era addormentata. Fu una retata autonoma, nel senso che venne fatta da tedeschi con metodi tedeschi. Questa fase durò per tutti i mesi di ottobre e di novembre. Ma alla fine di novembre iniziò la compenetrazione della politica nazista con quella della Repubblica Sociale. Fino al 30 novembre la Repubblica Sociale non era ancora saldamente consolidata, Mussolini aveva dei problemi perché i tedeschi non volevano lasciargli un esercito, non si sapeva se la polizia era fedele al regime, se la burocrazia e l’amministrazione avrebbero retto la nuova Repubblica Sociale e così i tedeschi approfittarono di questo vuoto di potere italiano per fare rastrellamenti come quello di Roma. Ma dal 30 novembre 1943 è lo stato italiano, lo stato della Repubblica Sociale che, in piena autonomia, decide la persecuzione. Cosa significa? Significa che un ordine di polizia viene emesso e con questo decreto tutti gli ebrei sul suolo devono essere arrestati, internati e tutti i loro beni sequestrati. Questo vuol dire che dal 30 novembre i tedeschi possono tranquillamente passare la mano agli italiani perché saranno loro a trovarli, ad arrestarli, a internarli. Non certo a deportarli perché la politica italiana mantiene pur sempre una grande differenza con quella tedesca e comunque non è volta allo sterminio. Ma tutto il primo passaggio viene fatto dalla polizia italiana. Volevo aggiungere ancora qualcosa rispetto alla nostra storia, la storia locale. Fabio Levi mette ben in rilievo che la politica fascista della legislazione antiebraica, che durò dal ’38 al ’43, aveva preparato sia gli animi, sia una successiva politica più forte e persecutoria che venne messa in atto dal ’43 al ’45. Non dimentichiamo che in Italia c’erano migliaia di ebrei stranieri fuggiti dalla Germania, dalla Cecoslovacchia, dalla Romania e dalla Polonia perché pensavano che da qui avrebbero potuto imbarcarsi per gli Stati Uniti o per la Palestina sotto mandato britannico. Queste migliaia di ebrei, che erano in parte clandestini, non conoscevano la lingua, non conoscevano i luoghi ed erano strettamente sorvegliati dalla polizia italiana, erano alla mercé dei rastrellamenti e delle razzie. Vi faccio un solo esempio: due delle diciotto vittime del campo di aviazione di Forlì sono i coniugi Amsterdam o Amsterdamer. Erano arrivati nel 1940 dalla Romania, erano scesi a Trieste per raggiungere Bengasi e di lì emigrare in Palestina. A Bengasi dovevano incontrare altri profughi, anche loro scesi dall’Europa orientale, e lì formare una nave per tentare di forzare il blocco inglese al largo della Palestina, cosa difficilissima allora, perché la Palestina era sotto mandato britannico e questo impediva agli ebrei perseguitati e fuggitivi di entrarvi; c’erano al largo le navi inglesi che fermavano i profughi e li mandavano indietro. A Bengasi questi profughi si riunirono effettivamente, si imbarcarono, erano più di trecento, ma non tentarono neanche di forzare il blocco inglese, quindi cominciarono a vagare per il Mediterraneo. Ritornarono a Bengasi dove trovarono le autorità italiane che li accolsero con un regime poliziesco, nel senso che li internarono tutti e li mandarono in Italia nel campo di internamento di Ferramonti di Tarsia. E lì si fermarono, sotto stretta sorveglianza poliziesca. Ora, si dà il caso che Ferramonti, vicino a Cosenza, sia stato uno dei primi campi di internamento europei a essere liberato dalle armate alleate che risalivano la penisola, nell’autunno del 1943. Ma questi poveri coniugi Amsterdam, da Ferramonti di Tarsia, furono trasferiti più a nord, in internamento a Forlì, dalla polizia italiana, e lì successe quel che successe, furono due delle diciotto vittime dell’aeroporto. Questo per dimostrare come questa stretta interdipendenza tra polizia italiana e polizia tedesca non va assolutamente dimenticata, e fu quella che procurò alla fine i maggiori disastri per gli ebrei italiani. Grazie. Vi parlerò in particolare del periodo che va dal 1938 al 1943, periodo che comincia con l’emanazione delle leggi antiebraiche e si conclude con la caduta del fascismo e l’armistizio dell’8 settembre, cioè la fase precedente alle deportazioni. È un periodo che è stato studiato assai poco, anche perché è sempre risultato schiacciato da quanto è successo dopo, soprattutto nella memoria dei sopravvissuti. Evidentemente l’enorme rilevanza e la gravità di quello che è successo dopo il ’43 ha fatto sì che quanto è accaduto tra il ’38 e il ’43 sia diventato meno importante. Eppure credo sia interessante cercare di capire che cosa è successo dal momento in cui sono state emanate le leggi razziali fino all’armistizio dell’8 settembre: infatti vale la pena chiedersi quanto le leggi razziali e la loro applicazione, in quel periodo non proprio breve -si tratta di ben cinque anni- possano aver preparato quanto è successo dopo, in particolare le deportazioni. Non credo vi sia un nesso necessario tra le leggi razziali e le deportazioni. Non è che le leggi razziali siano state emanate in funzione delle deportazioni; né, d’altra parte, credo vi sia un nesso necessario tra NELL’ARCHIVIO DI OGNI ENTE PUBBLICO di Fabio Levi
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