una città 13 il convegno del ‘92 l’avvento del fascismo e l’emanazione di leggi razziali, non è che il fascismo dovesse necessariamente portare a quelle; credo però che ci sia un rapporto molto stretto sia tra fascismo e leggi razziali, sia tra leggi razziali e deportazioni, ed è proprio questo rapporto che, a mio avviso, va studiato a fondo, anche perché le ricerche sul campo sono soltanto all’inizio. Quello che qui vi propongo è semplicemente un indice di problemi e di terreni di ricerca -cercando anche di entrare un poco nel merito- che vale la pena percorrere, nel tentativo di andare più a fondo di quanto fino adesso non si sia andati. Credo che la prima questione da studiare sia proprio il momento dell’emanazione delle leggi, ossia quanto succede nel 1938. Le leggi razziali rappresentano una svolta repentina, improvvisa, in gran parte imprevista, anche dal punto di vista, in particolare, di chi quelle leggi doveva subire. In realtà si tratta di un avvenimento che aveva delle profonde radici nella storia precedente del fascismo. È appunto di quelle radici che bisogna parlare, bisogna cercare di individuare quelle radici. Le leggi razziali sono state emanate in ragione, innanzitutto, dell’avvicinamento dell’Italia alla Germania, dell’influenza crescente del nazismo sulla politica di Mussolini, e anche in ragione del clima generale che si stava manifestando in giro per l’Europa; un clima sempre più irrespirabile per il mondo ebraico nei vari paesi dell’Europa occidentale e, a maggior ragione, dell’Europa orientale. Quindi c’è questo primo dato rilevante: il sempre più stretto rapporto tra l’Italia e la Germania e la crescente influenza di Hitler su Mussolini. C’è però un secondo elemento importante che riguarda la politica coloniale del fascismo, cioè il fatto che, negli anni immediatamente precedenti il 1938, Mussolini si era lanciato nell’avventura imperialista, coloniale e aveva sviluppato un proprio specifico razzismo in ragione della volontà di prendere possesso dell’Etiopia e soprattutto nel tentativo di combattere il cosiddetto meticciato, cioè la mescolanza delle razze -così veniva definito dal fascismo- e in particolare la mescolanza della razza italiana con quella africana. Un terzo elemento importante riguarda le aspirazioni sempre più totalitarie del regime nella seconda metà degli anni Trenta; la politica razziale del fascismo si inquadra perfettamente in questo ambito. Un ultimo elemento importante, che interviene a favorire il processo che porterà poi all’emanazione delle leggi razziali, riguarda il progressivo allontanamento del fascismo dal sionismo internazionale e la scelta, in funzione antinglese, sempre più filoaraba del regime italiano nell’ambito della propria politica mediterranea. Tutti questi elementi, che hanno profonde radici nelle caratteristiche specifiche del regime fascista, conducono all’emanazione delle leggi razziali. Si può quindi vedere assai bene come, da un lato, le leggi razziali rappresentino una svolta, una decisione relativamente improvvisa, da parte di Mussolini e dei gerarchi fascisti, ma, nello stesso tempo, esista un rapporto molto stretto tra quella scelta e i connotati del fascismo, così come si vengono a definire nel corso degli anni Trenta. È questo un primo terreno di indagine che in parte è già stato arato, ma su cui indubbiamente si possono fare altri passi. Un secondo terreno di ricerca riguarda le modalità attraverso cui le leggi razziali sono state applicate nel corso di un periodo, dal ’38 al ’43, che, ripeto, non è un periodo breve, è un periodo relativamente lungo. Credo che la politica razziale del fascismo possa essere definita come una politica voluta dall’alto, venutasi a realizzare a partire da una spinta molto forte del vertice del regime, una politica che aveva come obiettivo quello di coinvolgere il più possibile l’insieme della società nell’attacco agli ebrei, nel processo di progressiva emarginazione del gruppo ebraico dall’insieme della società. Consideriamo alcuni aspetti particolari di questo processo di progressiva applicazione della legislazione razziale: innanzitutto il grande sforzo messo in campo dal regime nel tentativo di identificare gli ebrei. Non era facile capire chi fosse ebreo e chi non lo fosse, chi fosse da assoggettare a un regime restrittivo e chi non dovesse esserlo. Il regime mette in campo uno sforzo consistente, a partire dal censimento del 22 agosto del 1938, che è precedente alle leggi che verranno emanate a partire dal novembre; e questo grande forzo, teso all’identificazione degli ebrei, implica la collaborazione di moltissima gente, di moltissimi impiegati dei più diversi uffici dei comuni, delle prefetture, della questura; implica anche uno sforzo teso ad alimentare un clima generale di sospetto che rappresentava il primo passo nella prospettiva di creare intorno agli ebrei un vuoto sempre più difficile da sopportare. C’è dunque questo primo passaggio, ma c’è poi una serie molto numerosa di altri passaggi importanti: innanzitutto la progressiva espulsione degli ebrei dall’amministrazione pubblica; sappiamo bene qual è il peso in Italia dell’amministrazione pubblica, quanti sono gli impiegati dello stato e quindi quanti sono coloro i quali, come colleghi, come funzionari, venivano coinvolti nel processo di individuazione e poi in quello concreto di espulsione, di cacciata, degli ebrei dai più diversi ambiti dello stato. Quindi una grande massa di persone è stata coinvolta. E badate bene, negli archivi degli enti pubblici, in ogni archivio di qualsiasi ente pubblico, c’è un capitolo “ebrei”, perché in ogni ufficio pubblico si è trattato di individuare e di cacciare gli ebrei che facevano parte dell’amministrazione dello stato, dell’esercito e così via. Un altro aspetto importante riguarda l’espulsione degli ebrei dalla scuola e qui l’obiettivo del regime era evidentemente quello di influenzare molto direttamente l’ambiente della cultura, ma anche, soprattutto, di condizionare il mondo dei giovani in funzione antiebraica. Ancora un
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