una città - n. 295 - settembre 2023

una città 2 la lettera di Maria Carcere Civile, Forlì, 13 Settembre 1944 Carissimo Giorgio, mio solo tesoro, Oggi è un mese che sono arrivata qui. La disgrazia avvenne l’8 agosto, nel pomeriggio. Eravamo a Camerigiolo, in un podere, a circa 6 chilometri da S. Angelo, in cui eravamo rimasti come sfollati per sei settimane, quando sette soldati tedeschi armati della polizia, ci hanno fatto prigionieri. Ci hanno perquisito i bauli, togliendoci tutti i documenti, le lettere ecc. Poi ci hanno portato ad Urbania, vicino a S. Angelo, dove siamo stati detenuti dalla polizia fino al 12 Agosto. Siamo arrivati qui la mattina del 13 Agosto, dopo una notte intera di viaggio su un autocarro. Il tuo povero padre fu portato via il 5, di sera, con altri otto ebrei a lavorare in Germania. Giorgio carissimo, fino a quando tuo padre era qui potevo almeno vederlo tra le sbarre guardando dalla finestra. La vera tragedia comincia quando sono rimasta qui sola, con il cuore straziato dalla pena e dalla tortura, al pensiero della fine che potrebbe aver fatto il tuo povero padre e di ciò che accadrà a me. Ci sono sette di noi qui, tutte ebree, che aspettano di essere portate via in ogni momento. Ti sto dando tutte queste informazioni, caro Giorgio, così che quando la guerra sarà finita conoscerai tutti i dettagli necessari per rintracciarci o per sapere cosa ne è stato di noi. La polizia ci ha consegnato al Qg delle SS tedesche, noi ora dipendiamo da loro. Tutte le proprietà di valore che avevamo addosso ci sono state confiscate; a tuo padre hanno preso 1.370 lire e 1.000 lire a me. Ci hanno tolto anche gli anelli nuziali, che noi tenevamo come sacri e come i simboli della nostra unione matrimoniale. Hanno portato via anche la sveglia che ci avevi regalato. Mi hanno lasciato 100 lire così che ho potuto comprare della frutta. Ho aiutato tuo padre con la frutta per quanto ho potuto ma ora, Caro Figlio, tuo padre è senza un soldo. Non ha né mezzi né vestiti invernali. Preghiamo solo Dio giorno e notte che ci aiuti e ci faccia ritrovare tutti insieme. Che Dio ci aiuti presto e ci salvi. Le cose sono molto tristi per noi; il mio solo desiderio ora è quello di salvare la mia vita e di trovare tuo padre sano e salvo e te carissimo Figlio. Se sarà desiderio di Dio quello di non salvarci, mio carissimo Giorgio, sarò felice se un giorno potrai venire a S. Angelo in Vado a trovare la nostra cara padrona di casa, insegnante, Signorina Wilna Clementi, Via Zuccari n. 18. Questo spirito nobile e sua sorella Edda, sono state molto gentili con noi; ci hanno sempre aiutato e ci sono state vicine nei momenti di sconforto. In quest’ora così grave il mio spirito è con loro e con i loro figli, e pure con il marito di Edda, Carlo. Il mio cuore è pieno di gratitudine e saluti. Con Wilna sono rimaste tre scatole piene di nostre proprietà, magari è riuscita a salvare qualcosa. Forse è riuscita a tenersi le mie due pellicce, una macchina da scrivere Olivetti, un po’ di argenteria e della biancheria. Tutte le altre cose ci sono state tolte dai tedeschi, e dopo l’arresto ci è stato preso tutto quello che avevamo addosso. A Camerigiolo, l’ultimo posto dove abbiamo alloggiato, i padroni di casa Annibale e Augusta Bigini, erano nostri amici. Magari riuscirai a trovare anche loro a S. Angelo in Vado, a casa loro in Piazza Garibaldi. Erano presenti quando ci hanno portato via. Ho consegnato alla signora Augusta una scatola che ci era stata spedita da G.B. il cugino di tuo padre. Forse questa scatola è stata tenuta per te. Il Signor Annibale teneva i nostri due bauli nel suo armadio. Uno era pieno di vestiti, mentre nell’altro c’era della biancheria. Vedrai se questi oggetti sono ancora là. Non troverai il secondo baule con i vestiti e gli oggetti di valore e neppure la borsa grande con la biancheria da letto poiché erano nel rifugio dove vivevamo. Ma troverai sicuramente tutto quello che Wilna è riuscita a tenere per te, a casa sua. Mentre ero qui, in prigione ho consegnato due fotografie alla Sorella Valeriana che con me è stata come una madre. Le fotografie sono tue, di quando eri bambino; le ho consegnato anche un diario su di te del 1925, scritto da me. Le ho dato anche una penna stilografica, un regalo che mi fece tuo padre nel 1938, una comune collana di corallo, e altre tre spille. Tieni queste cose, caro Giorgio, come le ultime di tua madre e come ultimo saluto. Se Dio vuole, tutto potrebbe ancora finire bene, e noi potremo ancora ritrovarci tutti insieme ed essere felici. Chiedo a Dio con tutto il mio cuore e il mio spirito questa grazia. Sono molto modesta adesso, Giorgio. Non penso a cose terrene, il mio solo pensiero è quello di ritrovare tuo Padre e di poter stare ancora con te. Se Dio mi farà questa grazia sarò felice con quel poco che possiedo. Non chiedo nient’altro, carissimo Giorgio, e spero che tu sia in buona salute e in buone condizioni. L’ultima volta che abbiamo ricevuto tue notizie è stato con il telegramma del 19 Agosto ’43; il giorno del mio compleanno. Tutte le altre lettere dal luglio ’43 al dicembre ’43, ci sono state rispedite nel 1944 con un francobollo che diceva ‘Servizio Sospeso’. Abbiamo spedito alcuni messaggi attraverso la Croce Rossa. Non sappiamo cosa tu stia facendo né dove tu sia al momento, Carissimo Figlio. Spero che tu sia stato in grado di studiare come hai sempre desiderato, carissimo Giorgio. Quando eri piccolo sei sempre stato la mia gioia e il solo scopo della mia vita. È stato il volere di Dio che ci separassimo quando eri ancora un bambino, a soli 14 anni. Sono passati più di sei anni da quando ci siamo separati. In questi anni sarai cresciuto molto, Figlio mio; avrai anche sofferto, caro. Quanto sto aspettando ed ho aspettato il giorno in cui ti potrò riabbracciare. Adesso, mentre scrivo questa lettera, e credo che il Buon Dio ci farà la grazia, mi faccio coraggio e paziento. Giorgio, caro, immagino che tu sia un uomo buono e bello; come vorrei poterti vedere, forte, coraggioso, e capace di crearti una vita indipendente. Vorrei vederti sposato ad una brava ragazza che sia in grado di darti la felicità che desideri. Vorrei poter vedere i tuoi figli; mi piacerebbe avere un nipotino mio. Dio, fammi la grazia di riuscire a vivere per te e per tuo Padre. Sii buono mio caro Figlio e moderato in tutto. Non chiedere troppo dalla vita. Se sarai abbastanza fortunato di vivere nell’abbondanza, pensa sempre a coloro che sono poveri e sfortunati. La fortuna va e viene, così pensa ad essere in buona salute, soddisfatto del tuo lavoro e felice nella vita con la tua famiglia. Che Dio ti benedica Carissimo e sia sempre con te. Ti mando tutto il mio cuore e tutto l’amore più tenero di una madre e tutti i miei pensieri. È un peccato che non riesca ad esprimere in italiano tutto quello che vorrei dirti. Porta il mio amore ai parenti che riuscirai a rintracciare e a tutti i nostri amici, soprattutto a M.B. Ti abbraccio con le mie povere braccia afflitte, esauste, ma pur ancora piene di speranza. Spero che tuo Padre sia ancora in Italia e che non sia stato mandato in Germania. Perdonami, Caro Figlio, per le volte che sono stata cattiva con te; sono stati momenti di nervosismo, perdonami poiché ti amo davvero tanto. Tua Madre. P.S. 17 Settembre 1944, questa mattina ci portano via. I migliori Auguri. Tua Madre. Questa è la lettera che Maria Rosenzweig Pacht scrive al figlio Giorgio che non vede da anni e che è in Svizzera. La lettera si chiude con un post scriptum del 17 settembre ’44, il giorno in cui Maria, insieme ad altre sei ebree, verrà fucilata dalle SS tedesche. Dieci giorni prima erano stati fucilati diciassette detenuti fra cui il marito Karl Joseph. In copertina: una facciata della lettera di Maria, da microfilm dell’archivio militare inglese. CON LE MIE BRACCIA AFFLITTE, ESAUSTE

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