A conti fatti
gli uni accanto agli altri senza dover neces- sariamente interagire, iniziò a essere intro- iettata dalla maggioranza della popolazio- ne come la normalità: un modus vivendi funzionale al raggiungimento di un soddi- sfacente livello di benessere e, di conse- guenza, pace sociale tra i tre gruppi lingui- stici. Un livello di benessere economico, ga- rantito dal più alto livello di occupazione ri- spetto al resto del paese, che mi portò pro- gressivamente a dipingere, nel mio imma- ginario, Vipiteno-Sterzing come un posto di marzapane, quasi artificiale, sebbene lace- rato da profonde divisioni. Il valore della convivenza e della cooperazione L’inconscia accettazione della rigida sepa- razione in tre gruppi, che raggiunse il suo apice verso la fine degli anni Settanta, si riflesse nell’uso crescente e indistinto di termini quali “gruppo etnico” e “etnia”. Ter- mini entrati notoriamente nel linguaggio comune al posto di “gruppo linguistico”, co- me se fossero “realtà eterne e naturali” in- vece che il prodotto di una rappresentazio- ne contingente (Fabietti, 2013). Una prassi che ho sempre pensato sottendesse la vo- lontà, in parte volontaria e in parte incon- sapevole, di accentuare le diversità, e per- ciò le distanze sussistenti tra i gruppi lin- guistici, nonostante già 25 anni fa l’appar- tenenza delle persone non fosse più ricono- scibile univocamente, come accadeva inve- ce negli anni Sessanta (Langer, 1996). Alla fine degli anni Ottanta e inizio degli anni Novanta, durante gli anni delle Scuole Superiori a Vipiteno, grazie alle sollecita- zioni di alcuni insegnanti particolarmente sensibili alla convivenza, la sensazione di 13 a distanza di 40 anni è evidente che il sistema basato sulla schedatura etnica abbia in parte compromesso la convivenza
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